Per
inquadrare i margini di megasutura in una prospettiva corretta vanno
preliminarmente discussi l’origine e l’evoluzione del concetto di subduzione.
In una documentata analisi, Trumpy (1975) parte dalla considerazione che
la nozione di subduzione venne introdotta per primo da Ampferer (1906) e che le
sue idee furono seguite negli anni successivi da molti geologi alpini che
notarono che nelle loro sezioni geologiche la larghezza della copertura
sedimentaria era notevolmente in eccesso rispetto alla superficie del relativo
basamento. Queste considerazioni portarono alla convinzione che un consistente
volume dibasamento, presumibilmente
sialico, veniva «inghiottito» a grandi profondità (Verschluc kung).
In seguito
Amstutz (1951, 1957) introdusse il termine equivalente in francese (subduction)
poi anglicizzato da White et al. (1970) per diventare parte essenziale
della nomenclatura originatasi dallo sviluppo dei concetti di tettonica a
zolle. Nella sua nuova accezione il termine non corrispose più all’originale
concetto alpino che lo legava alla nozione di una litosfera sialica sub- dotta,
ma indicò una zona dove una litosfera prevalentemente oceanica viene subdotta.
In questo modo la subduzione di crosta continentale, caratterizzata dalla
tendenza a «galleggiare», assunse una trascurabile importanza nei casi di
collisione continentale.
Come Trumpy ha precisato, nelle zone di subduzione alpine la parte superiore
del basamento sialico viene coinvolta ma il fenomeno è visibile solo a piccola
scala. Sebbene sia difficile dimostrare la subduzione di litosfera continentale
in profondità, è tuttavia possibile dedurne la presenza sia dalle ricostruzioni
palinspastiche che dai recenti terremoti (v. I.aubscher, 1974, Panza et al.,
1980. Se la subduzione di litosfera continentale è soltanto dedotta, la
subduzione di litosfera oceanica lungo la zona di Benioff (subduzione B) è
comprovata da una documentata evidenza sismologica.
Nelle megasuture meso-cenozoiche possiamo differenziare quattro fondamentali
tipi di margine che hanno in gran parte significato analogo ai margini di
zolla.
1) Margine
esterno di zona di Benioff o di subduzione B. E’ una zona dove la zolla di
litosfera oceanica si immerge sotto la zolla continentale sialica. Attualmente
le zone attive di subduzione B sono accompagnate da terremoti superficiali/intermedi/profondi
e/o da una deformazione principale di età cenozoica. I sismologi stanno
studiando la dinamica di queste zone in grande dettaglio (Sykes, 1972; Oliver
et al., 1973). Sezioni schematiche di zone di subduzione B ricavate da profili sismici
a riflessione in esse sono visibili lo scollamento (dècollernent) superficiale
o l’asportazione di sedimenti dal tetto della crosta oceanica basaltica. Lo
spessore dei sedimenti, il rapporto tra la velocità di sedimentazione e la
velocità di sprofondamento della zolla e le proprietà reologiche delle rocce
deformate determinano una grande variabilità di stili tettonici che si possono
osservare nelle zone di accrezione dei margini convergenti e che vanno dallo
stile ad embrici della Fossa di Giava a quello risultante dalla combinazione di
strutture embriciate e faglie listriche normali con «crescita» nell’offshore
della Colombia fino allo stile più semplice di pieghe di scollamento delle
Barbados (Biju Duval et al., 1984). Sono inoltre noti profili sismici a
riflessione in cui la crosta oceanica appare coinvolta senza dubbio alcuno in
processi di subduzione (Kroenke, 1972; Kulm et al., 1973); o in cui il processo
di subduzione cenozoica può essersi già esaurito come si osserva nella Fossa di
Palawan (Isole Filippine) dove la zona di subduzione è stata ricoperta già nel
tardo Miocene da sedimenti più recenti.
In alcuni casi la deformazione delle zone di subduzione B pare sia avvenuta in
un regime ad alta pressione di porosità descritto, ad esempio, da Shouldice
(1971) per la zona di subduzione al largo dell’Isola di Vancouver. I sedimenti
oceanici che raggiungono la zona di subduzione conservano quasi integra la loro
porosità e il relativo contenuto in acqua in quanto essi sono solo parzialmente
consolidati. Questi caratteri potrebbero essere all’origine della formazione
dei «mélanges» costituiti da pacchi di sedimenti semiconsolidati
strappati dal sottostante basamento oceanico; in realtà i mélanges sono
spesso difficilmente differenzia- bili dai grandi accumuli da frana indotti
dalla tettonica (olistostromi) che frequentemente si trovano lungo le scarpate
sottomarine dei margini attivi. Un altro dato in accordo con il regime di alta
pressione di porosità è quello della presenza di grandi volumi d’acqua nella
sottostante crosta oceanica, acqua che si è prodotta durante il raffreddamento
di basalti e di intrusioni poco profonde nel corso della formazione di nuova
crosta oceanica (Fyfe, 1974, 1976). Se ne dedurrebbe che la superficie di una
zolla in subduzione contiene generalmente grandi quantità d’acqua e si trova in
un regime di alta pressione di porosità (Von Huene e l_ee, 1982). Queste
caratteristiche favorirebbero una subduzione «silenziosa», praticamente senza
frizione, e spiegherebbero perché gli epicentri dei terremoti vengono
registrati soltanto all’interno di parti più rigide della zolla.
2) Margine esterno di zone ceno-mesozoiche di tipo Ampferer o zone di
subduzione A. E’ una zona dove una parte di crosta sialica può trovarsi
subdotta a profondità intermedie, al di sotto dell’area di megasutura, e dove
si formano scollamenti per pieghe a grande scala e vasti sovrascorrimenti della
sovrastante copertura sedimentaria. Un esempio probante di subduzione A viene
dalle Montagne Rocciose del Canada Occidentale; le ricostruzioni da sezioni
geologiche basate su dati di sismica a riflessione indicano che l’ampiezza
della copertura sedimentaria è sostanzialmente in eccesso rispetto al substrato
continentale sottostante (BalIy et al., 1966; Gordy et al., 1975). Poiché
tutti i dati escludono i convenzionali scivolamenti gravitativi da aree
sollevate (Bally, 1981), si può dedurre che sia sottoscorsa quella parte di
crosta continentale, precedentemente assottigliata, che si trovava al di sotto
della «miogeosinclinale paleozoica» della futura cordigliera canadese.
I caratteri di una tipica subduzione A si ritrovano nella zona esterna (sensu
Kober, 1928) della catena paleozoica delle Ouachita e degli Appalachi (Roeder,
1978; Harris et al., 1981; Cook et al., 1983; L.aroche, 1983). Le ricostruzioni
paleotettoniche nell’area alpina (Laubscher, 1965; Trumpy, 1969) provano
l’esistenza di un processo di subduzione di crosta sialica. Alcuni autori
vedono la subduzione A come un processo subordinato ma lo collegano, correttamente,
ad una collisione continentale come già anticipato da Argand (1924). Alcune
zone di subduzione A quali quelle delle Alpi, dell’Himalaya e di Zagros,
formatesi per collisione continentale, farebbero seguito a zone di subduzione
B, già attive prima della collisione.
Lo stile di
deformazione strutturale delle zone di subduzione A varia in ragione delle
differenze di duttilità all’interno del pacco di sedimenti coinvolti nella
deformazione. Velocità di subduzione e quantità di crosta sialica coinvolta nella
subduzione A sono notevolmente inferiori ai valori relativi alla crosta
oceanica nel caso della subduzione B. I meccanismi del processo di subduzione A
appaiono poco chiari, ma le riserve concettuali, oltre che le difficoltà
meccaniche, relative alla subduzione di sostanziali porzioni di litosfera
continentale, sono in parte superate dalla semplice osservazione che in ogni
caso viene subdotta una crosta continentale precedentemente assottigliata.
Tuttavia c’è sempre stata molta riluttanza da parte dei teorici della tettonica
a zolle ad accettare la subduzione A. Essi sostengono, infatti, che la forte
tendenza al «galleggiamento » da parte della crosta continentale dovrebbe
impedire una subduzione quantitativamente significativa.
Molnar e Gray (1979) ritengono che porzioni cospicue di crosta continentale
(crosta inferiore) possono essere subdotte soltanto nel caso in cui vengano
separate dalla soprastante crosta superiore. Questi autori pensano che le
stesse forze gravitazionali che agiscono sulla litosfera oceanica in subduzione
potrebbero spingere la litosfera continentale, priva della parte superiore
(crosta continentale leggera), giù verso l’astenosfera. Tale “spinta” sarebbe
contro- bilanciata dalla tendenza al galleggiamento della crosta continentale
leggera. In simili circostanze e sulla base di assunzioni di varia natura,
potrebbe essere subdotta una parte di crosta continentale compresa tra pochi km
e 330 km di lunghezza. Questi valori dipendono dagli spessori di crosta
continentale inferiore che possono essere scollati durante la subduzione. Il
modello elaborato da Bird et al. (1975) e Bird (1978) descrive una situazione
termica e meccanica capace di determinare la «delaminazione» di
litosfera subcrostale che avverrebbe con l’inserimento o l’
Come geologi possiamo quindi continuare a raccogliere dati che possano dare una
spiegazione del reale raccorciamento osservato nelle catene montuose.
3) Margine esterno di tettonica trascorrente (lungo faglie trasformi). Si
trova in alcune aree quali ad es. la California meridionale e la Nuova Zelanda
dove la zona di megasutura è attraversata da un sistema di dorsali e di faglie
trasformi che si sovrappongono a zone precedentemente compresse.
4) Zona di inviluppo intorno ad intrusioni ignee felsiche. I tipi di
margine prima proposti non sono applicabili alla Mongolia e alla Cina (Terman,
1974; People’s Republic of China, 1975, 1976; Bally et al., 1980), dove le zone
di subduzione B del Pacifico occidentale non hanno un’equivalente fascia di
subduzione A. In queste regioni il margine occidentale della megasutura è dato
dal limite più occidentale di una fascia di intrusioni mesozoiche. Il margine
della fascia di intrusioni è adiacente a ciò che costituiva l’avanpaese
mesozoico e cenozoico, dominato da tettonica trascorrente e distensiva (Dewey e
Burke, 1973; Terman, 1974; People’s Republic of China, 1975, 1976; Molnar e
Tapponier, 1975). Questo suggerirebbe il fatto che la deformazione
dell’avanpaese è solo marginalmente legata allo sviluppo delle megasuture.