Corso di Geologia

Argomento: TETTONICA GLOBALE


INDICE


06.7 - COMPLESSI DI SUBDUZIONE

Le caratteristiche morfotettoniche dei margini di subduzione sono conosciute con nomi diversi e le più comuni sono quelle annotate nelle figg. A, B e C. collegate.

Non tutte le morfostrutture illustrate delle figure sono presenti in uno stesso margine convergente. Tale presenza dipende dalle caratteristiche della zolla in subduzione. Diversità nella morfologia si osservano non soltanto tra  differenti margini di subduzione, ma anche all’interno di un singolo sistema ed in parte sono  funzione della posizione del margine. Molte delle strutture che si sviluppano nella zolla in sovrapposizione sono dipendenti dalle caratteristiche della parte della litosfera subdotta. 

Margini di tipo Marianne: ambedue le zolle sono costituite da litosfera oceanica; questo tipo di margine è caratterizzato da una fossa oceanica profonda e da un arco vulcanico;

 Fig. 106



Fig.107

Fig. 108

Fig. 109



Fig. 110



  06.7.1 - Comportamento della Zolla in Subduzione

Quando una zolla sprofonda per effetto della gravità va a giustapporsi alle rocce dell’astenosfera caratterizzate da temperatura notevolmente più alta; tale zolla di riscalda ad una velocità che è funzione della propria conduttività termica. Sulla base di relazioni, definite empiricamente, si osserva che l’aumento di temperatura determina, dopo circa 10 milioni di anni, un comportamento della zolla diverso da quello di un corpo fragile. Gli studi dell’arrivo del primo impulso d’onda dei terremoti in una zolla in subduzione indicano una distribuzione sistematica nello spazio dei meccanismi distensivi e di quelli compressivi (Fig. 114).

La zolla che sprofonda è in stato di compressione, ma la variazione verso il basso della distribuzione locale degli sforzi fa si che in alcune regioni si manifestino sforzi deviatori di tipo tensile.

Quando la litosfera “fredda” va in subduzione, la distribuzione delle isoterme del mantello superiore si modifica. La distribuzione termica ottenuta dai modelli è comparabile con i valori del flusso di calore osservati nei margini di subduzione.

I valori di flusso termico più bassi in assoluto sono stati misurati nelle fosse oceaniche e sul lato esterno dell’arco che borda le fosse stesse (dove si trova il complesso di accrezione); mentre nelle regioni di retroarco e nella parte posteriore (interna) dell’arco magmatico si hanno valori molto più alti.

La corrispondenza areale tra l’aumento di temperatura nell’astenosfera e nella soprastante zona di retroarco fa pensare che il meccanismo di espansione della zolla di retroarco sia probabilmente legato alla presenza di una litosfera indebolita per cause termiche.

L’esistenza di un aumento della temperatura nella “zona di triangolo” che è un’area del mantello delimitata in basso dalla zolla litosferica che sprofonda ed in alto dalla zolla geometricamente sovrastante, sembrerebbe provocata dal calore di frizione e da una risalita dell’astenosfera.

E’ importante ricordare che la distribuzione delle isoterme è sempre ricavata da un determinato modello e non viene stabilita da dati dipendenti.

Fig. 111



  06.7.2 - Angolo di Subduzione e dimensione del sistema di Arco

L’angolo che una zolla in subduzione forma con la superficie della Terra, detto angolo di subduzione determina le dimensioni trasversali del sistema di arco nella zolla sovrastante. Infatti con l’aumentare di quest’angolo diminuisce l’ampiezza dell’arco magmatico e dell’intervallo arco-fossa e viceversa (Fig. 112)

 

 

Fig. 112

Tra i vari parametri che determinano l’angolo di subduzione ricordiamo:

1) l’età della zolla che viene subdotta: la litosfera oceanica relativamente recente (più recente di 50 Ma) aumenta la sua capacità di “galleggiamento” grazie al suo stato termico e tende ad opporre resistenza alla subduzione pertanto una litosfera recente ridurrà l’angolo di subduzione;

2) il comportamento delle dorsali e dei  plateau asismici: queste aree oceaniche, topograficamente elevate, hanno densità inferiore a quella della litosfera oceanica circostante. Quando esse vengono “inghiottite” nella zona di subduzione possono anche indurre deformazioni di tipo distensivo nella zolla di sovrascorrimento e/o indurre l’angolo della subduzione nel momento in cui vengono subdotte;

3) la velocità relativa di zolle convergenti: se la velocità relativa di due zolle convergenti è bassa la componente di sprofondamento della litosfera in subduzione dispone di più tempo per rendere più inclinato l’angolo di subduzione;

4) la velocità assoluta di zolle convergenti: se la zolla in sovrascorrimento si muove in direzione della fossa è previsto un basso angolo di subduzione, mentre se il movimento della zolla in sovrascorrimento non è nella direzione della fossa, l’angolo di subduzione sarà maggiore.

Le discontinuità nelle zolle litosferiche oceaniche, come ad esempio preesistenti faglie trasformi, possono produrre variazioni dell’angolo di subduzione lungo la direzione del  margine che sprofonda. Se il vettore della convergenza relativa (o velocità relativa) delle due zolle è parallelo alla discontinuità l’effetto verrà conservato nella zolla in sovrascorrimento e sarà rappresentato da un brusco cambiamento tra una zona di arco ristretto (fascia che incombe sulla zolla che va in subduzione) ed una zona d’arco molto più ampia.

L’intervallo arco-fossa dovrebbe mostrare una corrispondente variazione in ampiezza. L’allineamento fortuito della discontinuità della zolla e del vettore di convergenza relativo è comunque molto improbabile.

Nel caso generale (Fig. 112) l’intersezione di una qualsiasi discontinuità nella zolla con la zona di subduzione migrerà lungo il margine di questa provocando lenti cambiamenti nell’ampiezza dell’intervallo arco-fossa e nella forma e posizione dell’arco magmatico.

 

 

Fig. 113 :Distribuzione delle isoterme e del limite di fase in un’estenosfera in cui è sprofondata una zolla di litosfera fredda. Profondità e distanze in Km.

 

 

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Fig. 113 A

 


 

Fig. 114

 

 

 

 

Fig. 115

 

 

 

 

 

 

Fig. 116: Sezione verticale, normale alla direzione di un arco insulare. Essa mostra schematicamente l’orientazione tipica di una doppia coppia di meccanismi focali dei terremoti. L’asse distensivo (frecce divergenti,in alto) è il risultato della flessura che si determina quando la litosfera si curva lungo l’asse della fossa. Il regime compressivo (frecce convergenti tra zero e circa 200 Km di profondità) è il risultato della resistenza alla subduzione che si origina al contatto tra la zolla superiore e quella inferiore, nel settore non curvato dalla zona in subduzione. Il regime distensivo (frecce divergenti a circa 200 Km) è probabilmente dovuto ad un locale aumento della velocità di subduzione quando le parti inferiori della zolla passano attraverso la fase (petrografica) di transizione a 320 Km. Le parti superiori della zolla in subduzione sono meno dense e non vanno di pari passo con le porzioni inferiori. Il regime compressivo sotto i 200 Km è prodotto dalla resistenza opposta dalla astenosfera allo sprofondamento della litosfera (modificato da Isacks et al., 1968).

 

                                                               

 

  

 

Fig. 117

 

 

 

 



  06.7.3 - Morfologia della Zolla in sovrapposizione: Tipi di Arco

La morfologia della zolla che si sovrappone dipende, lungo un margine in subduzione, dalla composizione della litosfera (oceanica e continentale).

I margini lungo i quali si “scontrano” due zolle di litosfera oceanica (margini di tipo Marianne o Tonga-Kermadec)  sono generalmente caratterizzati da un arco vulcanico di isole che risiede in un’ area di plateau intraoceanica formatasi durante l’attività vulcanica dell’arco.

Il vulcanismo è caratterizzato da basalti con costituenti minori tipici delle associazioni calcalcaline (andesiti). Le rocce andesiti che si formano preferenzialmente nei segmenti dell’arco dominati da forti tensioni di tipo compressivo.

In queste aree i magmi primitivi derivati dal mantello sono immagazzinati il livelli crostali intermedi permettendo così la formazione di andesiti per cristallizzazione frazionata e/o per parziale fusione crostale. Nelle zone in cui lo stato di tensione è al di sotto dei valori di soglia della compressione, o in cui addirittura esistono fasi di distensione, le rocce dominanti sono i basalti.

Gli archi intraoceanici sono associati con complessi di accrezione (pile di scaglie embriciate) ben sviluppati e con archi esterni solo quando vi sono in prossimità importanti aree di alimentazione di clasti derivanti dall’erosione di zone continentali.

Quando invece l’arco di trova isolato in un bacino oceanico si formano fosse topograficamente profonde sul lato della catena vulcanica che guarda verso l’oceano. In alcuni casi l’arco è costituito da una catena di isole ed è dislocato da faglie trascorrenti orientate normalmente al margine di zolla. Lo spostamento differenziale di blocchi lungo faglie trascorrenti può essere all’origine della forma arcuata dei margini. In alternativa la forma arcuata dell’arco può essere il risultato di subduzione di una zolla non planare (sferica). I sistemi di faglie trascorrenti, orientati parallelamente ai margini delle zolle, sono abbastanza comuni e caratteristici delle regioni di avanarco, di arco e di retroarco.

I bacini di retroarco o bacini marginali sono in gran parte delle strutture di distensione originatesi in un regime di espansione. Contrariamente a quanto si verifica nella dorsale medio-oceanica, in queste zone non si sviluppano anomalie magnetiche distribuite sistematicamente. Questo rileva una differenza fondamentale nei meccanismi di espansione; l’espansione della zona di retroarco può realizzarsi su aree molto estese senza essere caratterizzata da andamenti lineari e/o localizzata nella parte centrale della lacerazione crostale.

I margini di subduzione lungo i quali viene deformata la litosfera  continentale (margini di tipo andino) sono caratterizzati da catene vulcaniche subaeree con notevole rilievo topografico (Fig. 118). Da un punto di vista composizionale le rocce vulcaniche sono molto più varie di quelle che troviamo in un ambiente di arco oceanico, ma i basalti risultano ancora la componente dominante. Sono frequenti le serie di rocce calcalcaline, andesiti che e in minor misura riolitiche, mentre è altamente variabile l’abbondanza relativa dei componenti ignei lungo tutto il margine di zolla.

Lo sviluppo del vulcanismo andesitico e riolitico si intensifica nelle regioni dell’arco in fase di compressione e/o nelle regioni con crosta continentale ispessita.

Gli archi continentali sono normalmente associati a grandi complessi di accrezione (accretionary prisms); la vicinanza di un’area di alimentazione e di un ben organizzato sistema di drenaggio sono le condizioni necessarie per lo sviluppo di un arco marginale (esterno).

In molti casi (si veda l’esempio dell’arco andino del Sud America) il drenaggio continentale diversamente orientato e la quantità di sedimenti che si riserva nella fossa non sono sufficienti per costruire un complesso di accrezione. La segmentazione della zolla sovrastante operata da faglie trascorrenti, normali alla fossa oceanica, non risulta aver luogo in ambiente continentale; sono invece segnalati sistemi di faglie trascorrenti parallele alla fossa oceanica.

Le regioni di retroarco topograficamente elevate, sono costituite da catene a pieghe e falde formatesi durante un regime compressivo e da bacini di aree sollevate (basin and renge) prodottisi durante un regime distensivo.

Lo stato delle tensioni nella regione di retroarco è controllato in gran parte dal movimento assoluto della zona sovrastante ed in misura minore da quei parametri che determinano l’angolo di subduzione della zolla discendente. Anche se un margine convergente è in totale stato di compressione, nella regione di retroarco sono frequenti bacini di distensione; essi vengono ritenuti come il prodotto di un sistema nel quale la velocità assoluta della zolla in sovrascorrimento ha una componente orientata in senso contrario rispetto alla fossa o di un sistema nel quale si esplica un lento movimento verso la fossa oceanica.

Così, in questo modello si inquadra la posizione della fossa, che una volta formatasi, dipende fondamentalmente dall’elevata viscosità dell’astenosfera che non le consente di subire rapidi cambiamente.

Gli altri parametri da cui dipende l’angolo di subduzione possono accentuare o moderare le condizioni determinate dal movimento assoluto della zolla superiore. Quando quest’ultima si muove  (in velocità assoluta) in senso opposto o lentamente verso la fossa, una “forza di suzione” agirà sul lato anteriore dell’arco per impedire il formarsi di una interruzione tra le zolle convergenti.

Questo processo darà luogo ad una fase distensiva nella zolla soprastante  per colmare l’interruzione che comincia a formarsi. Di converso, quando il movimento assoluto della zolla superiore è fortemente orientato verso la fossa si realizzerà una sovrapposizione (al di sopra della fossa) che porterà ad una fase di compressione e quindi un raccorciamento della zolla superiore (Fig. 117).

 

 

Fig. 118

 

Fig. 119

 

Non tutte le morfostrutture illustrate nelle figure sono presenti in uno stesso margine convergente. Tale presenza dipende dalle caratteristiche della zona di subduzione. Diversità nella morfologia si osservano non soltanto tra differenti margini di subduzione, ma anche all’interno di un singolo sistema e in parte sono funzione della posizione del margine. Molte delle strutture che si sviluppano nella zolla in sovrapposizione sono dipendenti dalle caratteristiche della parte litosferica subdotta.

I margini lungo i quali si “scontrano” due zolle di litosfera oceanica (margini di tipo Marianne o Tonga-Kermadec) sono generalmente caratterizzate da un arco vulcanico di isole che risiede in un’area di plateau (piattaforma) intraoceanico formatasi durante l’attività vulcanica dell’arco. Il vulcanismo è caratterizzato da basalti con costituenti minori tipici delle associazioni calcalcaline (andesiti). Gli archi intraoceanici sono associati a complessi di accrezione (pile di scaglie embriciate) ben sviluppati e caratterizzati dalla presenza di archi esterni che si formano solo quando vi sono in prossimità importanti aree di alimentazione di clasti derivati dall’erosione di zone continentali. In alcuni casi l’arco è costituito da una catena di isole ed è dislocato da faglie trascorrenti orientate normalmente al margine di zolla. Lo spostamento differenziale di blocchi lungo faglie trascorrenti può essere all’origine della forma arcuata dei margini attivi (fig. 119).

 

Margini di tipo Ande: la zolla soprastante consiste di litosfera continentale mentre la zolla in subduzione è oceanica; questo margine è caratterizzato da una fossa, ma invece dell’arco vulcanico troviamo un arco magmatico continentale.

Fig. 120

 

Fig. 121

 

 

MARGINI DI COLLISIONE

I margini di collisione, in cui viene subdotta litosfera continentale, rappresentano lo stadio finale dello sviluppo di molti margini convergenti.

Margini di tipo Alpino-Himalayano: ambedue le zolle sono di litosfera continentale e quando una delle due tende a sottoscorrere, la proprietà di galleggiamento della stessa zolla ne contrasta la subduzione; queste aree di collisione si caratterizzano per l’estrema deformazione e lo sviluppo di estese catene montuose e di sovrascorrimenti.

 

Fig. 122

 

Il sistema collisionale esprime la fase finale del processo di subduzione e porta in ultimo ad una riorganizzazione del margine di zolla. La morfologia di un margine di collisione è regolata dalla natura composizionale della zolla in sovrascorrimento. Quando ambedue le zolle sono costituite da litosfera continentale (ad es. margine collisionale di tipo Alpino-Himalayano) si produce una zona di estremo raccorciamento. In questa configurazione, la parziale subduzione di litosfera continentale si realizza con un ricoprimento del margine passivo in subduzione da parte di un arco continentale.

Fig. 122 A

 

La subduzione del margine passivo determina la formazione di una struttura a falde (catena) analoga a quella che si forma in un complesso di accrezione.

 

 

Fig. 122 B

 

 

Fig. 122 C

 

 

   

Fig. 123

 

Al suo interno la zona deformata non mostra generalmente la stessa morfologia di strutture descritta precedentemente per i margini di subduzione di tipo B. Questa differenza è determinata dal tipo di sedimenti coinvolti nella deformazione e dalla natura della zolla subdotta. Il complesso di accrezione di un margine di subduzione di tipo B è generalmente costituito da sedimenti di bacino oceanico poco potenti e comunemente privi di continuità laterale che si comportano, durante la deformazione, come rocce incompetenti dando perciò luogo a falde epidermiche con una intensa deformazione interna. Le rocce sedimentarie dei margini passivi, invece, costituiscono corpi sedimentari molto più potenti che si comportano come rocce competenti durante il raccorciamento, formando unità tettoniche in falde più spesse e con una blanda deformazione interna. Il grado di deformazione della zolla sovrastante aumenta man mano che vengono subdotte le coperture sedimentarie depositatesi sulla crosta transizionale del margine passivo (aumenta quindi in relazione alla subduzione di crosta continentale assottigliata).

L’evoluzione del processo di subduzione viene contrastato dalle spinte al “galleggiamento” quando ha inizio il processo di subduzione della litosfera continentale relativamente non deformata. Per spiegare il processo continuo di sottoscorrimento di litosfera continentale (valutato almeno in 300 Km), viene invocato un meccanismo di delaminazione della litosfera continentale durante il quale vengono strappate alcune scaglie di crosta superiore dalla sottostante litosfera. L’astenosfera calda migra nelle zone di delaminazione quando gli strati mafici (crosta inferiore e mantello superiore) della litosfera affondano. Il proseguimento di questo processo porta ad un progressivo appiattimento della zona di subduzione e ad un raddoppiamento dello spessore crostale.

Nel corso della subduzione di litosfera continentale, la zolla sovrastante subisce un forte raccorciamento nella regione di retroarco. L’arco vulcanico cessa l’attività già agli inizi della fase collisionale di deformazione, quando cioè il suo apparato di eruzione viene distrutto dalla spessa zolla continentale in subduzione. L’orogene formatosi nella zolla superiore può avere un’ampiezza dell’ordine di 2000-3000 Km, e può contenere un insieme di strutture che vanno dai sovrascorrimenti alle faglie trascorrenti fino ai regimi distensivi.

Durante la collisione Alpino-Himalayana vaste regioni furono soggette ad un poderoso metamorfismo termo-dinamico caratterizzato da alta temperatura ed alta pressione.

Fig. 124

Da quanto abbiamo visto le catene montuose rappresentano il prodotto di processi di subduzione lungo i margini di zolla convergenti. Catene a pieghe e sovrascorrimenti hanno un’origine compressiva e sono costituiti da corpi sedimentari e da scaglie del sottostante basamento cristallino, rispettivamente asportati e distaccati dalla zolla in subduzione. Le numerose osservazioni fatte nelle catene montuose si inseriscono molto bene negli schemi della tettonica a zolla; tuttavia malgrado le brillanti anticipazioni (vedi geologi alpini) la tettonica a zolle non è facilmente deducibile dai soli dati provenienti dalle ricerche sulle catene montuose. L’ipotesi della tettonica a zolle rimane infatti ancorata soprattutto alle osservazioni geofisiche e della Geologia marina. La spiegazione delle catene montuose, nel quadro della tettonica a zolle, non è quindi tanto ovvia come potrebbe sembrare. Gran parte delle strutture che oggi sono presenti nelle catene montuose suggeriscono una diffusa “mobilizzazione” e “duttilizzazione” della parte superiore (crosta e sedimenti) della litosfera, mentre la restante parte della litosfera è subdotta in un regime fragile. Cioè mentre la litosfera continentale sottostante ai cratoni rimane rigida, la litosfera continentale sottostante alle catene montuose è stata “rimobilizzata” in modo passivo durante i processi orogenici.

 

 

MARGINI CONSERVATIVI

La direzione del movimento di ciascuna delle zolle è parallela al margine; per cui lungo il margine non si verificano processi di convergenza o divergenza. Le faglie trasformi sono manifestazione dei margini conservativi quando si trovano a connettere margini divergenti e convergenti.

 

Fig. 125

 

                                             Fig. 126 :  Faglia di San Andreas


Fig. 127: Schema illustrante tre tipi di faglie trasformi che si sviluppano lungo margine di zolla conservativi.

 

Fig. 128


Fig. 129: Il mare delle Andamane costituisce un bacino di retroarco collegato a movimenti obliqui. T= Settore dislocato verso l’osservatore; A= Settore dislocato in senso opposto.

 

 

Fig. 130: Sezione sismica migrata di una zona di tettonica trascorrente nel bacino di Ardmore (Oklahoma). Si noti la geometria della caratteristica struttura trascorrente (Flower structure o Palm tree structure). I terreni dislocati appartengono al Mississipiano (Msy, Msp) e all’ Ordoviciano (Ooc). T= Settore dislocato verso l’osservatorio; A= Settore dislocato in senso opposto. (modific. da Bally, Seismic expression….., 1983).