APPUNTI DI GEOLOGIA REGIONALE a cura del Prof. Raimondo Catalano


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INDICE
Nota

10 - LE CATENE ALPINE PERIMEDITERRANEE

Vengono descritti i principali caratteri strutturali della regione perimediterranea come illustrati da Lemoine 1977 secondo concezioni che si collocano a mezza strada tra quelle tradizionali e quelle ispirate dalla tettonica delle zolle. Queste informazioni permettono di seguire un excursus storico che introduce e spiega il significato di alcune moderne vedute.



10.1 - PREMESSA

Le catene alpine che occupano la parte meridionale dell’Europa, non possono essere considerate separatamente dai loro naturali prolungamenti nel Nord Africa e nell’Asia Minore e quindi nel loro insieme sono definibili come catene alpine perimediterranee, un piccolo ma complicato settore delle zone alpine mondiali (figg. 10.1-10.10).

fig. 10.1 -  Schema molto semplificato che mostra le tracce delle catene più importanti dell’area Alpina perimediterranea.

1= catene derivanti dalla formazione di un margine continentale più area oceanica con marcata vergenza (freccia) di pieghe e sovrascorrimenti verso il lato esterno  (linea continua) che rappresenta un blocco continentale;  2= catene Pirenaiche e Caucasiche a volte chiamate “intracratoniche” e mostranti una struttura più o meno simmetrica (a forma di ventaglio), con opposte vergenze; 3= grabens terziari (principalmente Oligocenici). CO= Corsica; CRIM= Crimea; DIN= Dinaridi; PR=Provenza.

 

 

fig. 10.2 – schema delle catene della regione perimediterranea (da Bosellini). In rosa il Cratone Africano, in verde il Cratone Europeo ed in marrone le Catene Alpine perimediterranee.


 

fig. 10.3 - Una carta semplificata delle catene Perimediterranee: 1: Catene Alpine; 2: Affioramento di Basamento (crosta continentale) Varisico e/o più antico; 3: Ofioliti (per la maggior parte, probabilmente, relitti di crosta oceanica); 4: Catene alpine interessate da metamorfismo alpino (Cretaceo - Terziario); 5: Domini epicratonici piegati durante l’orogenesi alpina (Catalanidi, Iberidi, catene dell’Atlas e Giura); 6: Principali bacini molassici; 7: Vulcaniti del terziario superiore (comprese le attuali); 8: Graben;

DO= Dobrogea; CR= Crimea; G.C.= Grande Caucaso; L.C.= Piccolo Caucaso; P= Pontiditi; T= Tauridi; H= Ellenidi; D= Dinaridi; A= Alpi; AP= Appennini; BE= Betidi; M= Maghrebidi; PY= Pirenei; C= Carpazi; B= Balcani

 

 

fig. .10.4 - Affioramenti dei basamenti precambriani e paleozoici nella regione Mediterranea (Sander, 1970).

 

fig. 10.5 - Unità tettoniche alpine dell’area Alpina Mediterranea e attuale distribuzione di complessi derivanti dalla formazione dei margini continentali, e di antichi bacini oceanici (Bernoulli & Jenkins, 1974). Comparare con figura 7.1.
 

 1) Unità tettoniche Alpine neogeniche del margine continentale settentrionale della Tetide e dell’Avanpaese Europeo;

 2) Unità tettoniche Alpine Paleogeniche del margine continentale settentrionale della Tetide, e unità costituite da sedimenti oceanici (Falde Penniniche);

3) Unità tettoniche alpine del margine continentale meridionale della Tetide con vergenza verso Nord;

4) Unità tettoniche Alpine del margine continentale meridionale della Tetide con vergenza meridionale verso l’avanpaese Africano. Ofioliti della Tetide centrale;

 5)  Unità tettoniche Alpine del margine continentale con formazione di ofioliti durante il Cretaceo;

 6)  Depositi mesozoici delle zone di Pindos, Lagonegro, e Imerese (Sicilia);

 7) Sedimenti oceanici della Tetide Centrale;

 8) Falde di basamento Calabre e della Kabilie di origine incerta;

 

 

fig. 10.6 - Età delle più importanti fasi di piegamento nell’area Mediterranea (Wunderlich, 1969). Con crocette vengono indicati i piegamenti pre-Alpini, caratterizzati parzialmente da una rideformazione alpina; nero = piegamenti soprattutto durante il Cretaceo; tratteggiato =  piegamenti soprattutto nel Paleogene; punteggiato = deformazioni soprattutto il tardo Terziario; quadratini = aree di probabili recenti piegamenti in zone più profonde.



fig. 10.7 - Piegamenti Cretacei e flysch Cretacei nell’area Perimediterranea (Argyriadis, 1974). 1 = flysch Cretaceo in generale; 2 = tettogenesi significativa (pieghe e sovrascorrimenti) di età Cretacico inferiore e medio; 3 = tettogenesi moderata di età Cretacico inferiore e medio; 4 = tettogenesi significativa di età Cretaceo superiore; 5 = tettogenesi moderata di età Cretaceo superiore; 6 = fronti di sovrascorrimento del Cretaceo.



fig. 10.8 - Fenomeni gravitativi sinsedimentari Alpini dell’area Mediterranea (Biju-Duval, 1974). 1 = Sali Messiniani; 2 = catene a pieghe Alpine; 3 = falde gravitative delle catene Alpine; 4 = falde gravitative nelle catene peri-Arabiche (Cretaceo Sup.); 5 = falde gravitative dal Neogene all’Attuale; 6 = ipotetico fenomeno gravitativo medio miocenico (Dorsale Mediterranea).

 

 

fig. 10.9 – Sezioni attraverso il Giura da Buxtorf (in Collet, 1938). La sezione superiore mostra lo scollamento del Giura piegato; La sezione inferiore mostra l’accavallamento del Giura piegato sul Plateau del Giura. 1 = Quaternario, 2 = Molassa, 3-6 = Giura sup., 7-9 = Giura med., 11 = Lias, 12-17 = Trias, 18 = Permiano, 19 = Basamento Ercinico.

 

 

Le catene alpine si sono originate dalla deformazione tardo Mesozoica-Terziaria a causa del loro recente piegamento che iniziato, in alcuni luoghi, durante il Giura si è realizzato in gran parte durante il Cretaceo. Il sollevamento di molte di queste catene risale al tardo Terziario e al Quaternario.



10.2 - LE IPOTESI DI ARGAND (1924) SULLE CATENE ALPINE

 
 

 

fig. 10.10 - L’evoluzione tettonica tarda o post-Alpina nell’area Mediterranea, come vista da Argand (1924). Per la legenda vedi fig. 7.14. Queste sezioni schematiche mostrano le Alpi e l’Africa prima e dopo la grande distensione. La sezione B è  la stessa della fig. 7.14 e mostra le Alpi come risultato di ciò che ora noi chiamiamo una collisione continentale. La sezione A mostra (come le carte di fig. 7.15) il risultato di una tarda, distensione post-orogenica con nascita dei bacini dell’attuale Mediterraneo cioè aree con sial (crosta continentale) assottigliata e buchi di sima.


 

 

fig. 10.11 -Tettonica di collisione delle catene Alpine vista da Argand 80 anni fa (Argand 1924). Queste sezioni schematiche rappresentano la situazione corrispondente ad un tempo immediatamente posteriore al parossismo tettogenetico Terziario precedente a quello che Argand chiama l’ultima grande distensione dell’area Mediterranea.

Legenda: 1 = Gondwana; 2 = Eurasia, sima in nero; sial in bianco; punteggiato = materiale che viene fuori dalla zona assiale della Tetide (unità Penniniche nella sezione CF). Nota l’associazione di questo materiale sedimentario con le ofioliti sovrascorse (obdotte nel nostro gergo moderno) in nero.

  

fig.  10.12a – Originaria concezione dell’evoluzione del sistema Mediterraneo nel tardo Terziario: le distensioni dell’intervallo Oligocene-Neogene daranno luogo ai bacini attuali del Mediterraneo (Argand, 1924 figg. 22-25).

Grigio = Sial (crosta continentale) ridotto, assottigliato;

Nero = Crosta continentale (Sial) generalmente più assottigliata con o senza “buchi” simatici a luoghi. Queste carte palinspastiche mostrano come E. Argand, prima del 1924 aveva immaginato l’evoluzione tettonica dei bacini mediterranei dopo le principali fasi compressive Alpine. Queste figure in qualche modo profetiche mostrano la rotazione del blocco Sardo-Corso e la nascita di ciò che noi chiamiamo “area di crosta oceanica” nel Mediterraneo. Nota che secondo questi diagrammi Argand postulava un’apertura dell’Oceano Atlantico molto più recente (tardo Terziario); la datazione dell’evento è sbagliata ma l’idea generale, seguendo il punto di vista di Wegener, rimane profetica.

 

fig. 10.12b – Migrazione del fronte Alpino fino all’attuale posizione nella regione perimediterranea.

 



  10.2.1 - CONOSCENZE ANTECEDENTI IL 1980

L’intera area alpina perimediterranea è compresa tra due blocchi “stabili” continentali, il Cratone Europeo a Nord ed il Cratone Afro-Arabico a Sud che giocano entrambi il ruolo di avanpaese per le varie parti delle zone alpine. Infatti, tra questi due maggiori blocchi continentali si può osservare un sistema piuttosto complesso che comprende:

 1)                  Le vere e proprie catene alpine;

 2)                   I bacini molassici (le avanfosse);

 3)                   Blocchi continentali più piccoli come la Spagna e la Corsica-Sardegna o la Moesia che rimasero stabili (poco deformate rispetto all’orogenesi Alpina);

 4)                   I bacini  del Mediterraneo attuale, recentemente formatisi, che in alcuni luoghi separano le zone Alpine o i blocchi intermedi minori.

 5)                   Le catene a pieghe viste in carta mostrano un andamento complicato nel quale possiamo individuare la presenza di “archi” (oroclini di Carey) (vedi fig. 10.16).

 

 

fig. 10.13 - Un modello semplice della Tetide Mesozoica (Carey, 1958).

A: struttura tettonica dell’Europa; B: Ricostruzione degli oroclini mediterranei allungati senza spostamenti laterali.

 

Sono riconosciute: 1. catene “intracratoniche” dei Pirenei e della Crimea-Caucaso, che sono quasi rettilinee e che mostrano in sezione una struttura a forma di ventaglio; 2.  le aree di catena di tipo “margine continentale a piana abissale oceanica” che mostrano una marcata vergenza  e più generalmente una certa “polarità orogenica” verso il loro avanpaese continentale. La figura 10.14 mostra un tipico esempio con una terminologia di tipo geosinclinale. In queste aree si riconoscono:

2a) zona tra le Alpi e le Pontidi, 2b) zona che si sviluppa dalle Dinaridi alle Tauridi, 2c) zona Betica-Appenninica. Inoltre si fa strada l’ipotesi di una probabile continuità tra Alpi e Betidi se si accetta la rotazione della Corsica.

 

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fig. 10.14 – Un modello dell’evoluzione di una coppia miogeosinclinale-eugeosinclinale come illustrata dall’esempio delle Ellenidi (Abouin, 1965).

Questo diagramma mostra più chiaramente gli stadi più importanti dell’evoluzione di un orogenesi Alpina-Mediterranea: la sedimentazione (1-3) geosinclinalica con messa in posto di ofioliti (3, ma guarda sotto); deposizione di flysch (4-8) con migrazione nel tempo e nello spazio (onda orogenica); deposizione di molasse (8-11). Questo modello chiaramente mostra “l’onda orogenica” con una migrazione della tettogenesi e di sedimentazione dei flysch dalle parti interne verso quelle esterne della catena, e il periodo post geosinclinalico (10, 11) con generazione di graben. Le ofioliti sono qui considerate come il risultato di fuoriuscita di magma sul fondo oceanico). Per altri più recenti modelli di generazione di ofioliti e messa in posto, dallo stesso autore).

 

L’avampaese stabile continentale di queste aree (definite “geosinclinaliche” nella vecchia terminologia) può essere costituito sia da un blocco continentale maggiore (l’Europa per le Alpi, l’Africa per le Maghrebidi) o da uno minore (Iberia per le Betidi, Moesia per i Balcani); in alcuni casi questi blocchi “stabili” e “alpini esterni”, possono aver subito una specie di piegamento terziario (Atlas Sahariano sul Cratone Africano a Sud delle Maghrebidi; Iberidi e Catalanidi sul blocco Iberico tra le Betidi e i Pirenei; Giura franco-svizzero nel nord delle Alpi). Tali aree sono state chiamate, prima dell’avvento della tettonica delle zolle, “epicratoniche” o “intracratoniche”; vedremo successivamente a cosa corrispondono nel quadro di questa teoria. Gli archi o “oroclini” che sono responsabili dei cambiamenti di direzione delle principali aree di catena non mostrano le sempre simili caratteristiche (fig. 10.1 e 10.2). La loro convessità può essere sia verso Est (archi della Calabria e dei Carpazi) che verso Ovest (Alpi occidentali e Gibilterra) o verso Sud (Arco Egeo). Alcuni di loro sono associati ad un’attività vulcanica del Terziario sup., Quaternario ed Attuale ed in qualche posto anche a terremoti profondi. L’arco alpino occidentale, d’altra parte, non mostra tali caratteristiche e può avere, probabilmente, una differente origine. Di notevole importanza è l’Arco di Gibilterra, che unisce le Betidi e le Maghrebidi, due zone quasi identiche ma con differenti avanpaesi (Placca Iberica al Nord, Placca Africana a Sud). Tutte queste zone di catena hanno subito un considerevole raccorciamento in seguito a  compressione durante la tettogenesi alpina, che ha comportato sovrascorrimenti a grande scala. Zone a pieghe e falde si sono formate sia su rocce di basamento sia su rocce di copertura (sedimentarie). Secondo l’età del piegamento pre-alpino queste rocce di basamento possono essere di età Varisica o più antica (figg. 10.4 e 10.9) e di contro la base della copertura sedimentaria può essere più o meno vecchia  (sedimenti cambriani giacciono su un basamento pre-cambriano nell’autoctono delle Tauridi, sedimenti permiani o triassici giacciono su basamento varisico nelle Alpi etc.). In nessun caso comunque il basamento cristallino attualmente conosciuto può offrire abbastanza spazio per la copertura sedimentaria a noi nota, specialmente quando andiamo a considerare le falde dei terreni flyschoidi; questo rappresenta il ben noto “problema dello spazio” per il quale diverse soluzioni sono state proposte. Ma anche se si ammette che le ofioliti alpine rappresentino un altro tipo di basamento (non continentale, ma oceanico), non si può sfuggire a questo problema dello spazio, per cui è necessario immaginare una qualche scomparsa di una parte del basamento continentale e/o oceanico per mezzo di un “inghiottimento”, di una subduzione o possibilmente di altri meccanismi. Per quello che riguarda il concetto di subduzione, ora grandemente usato in modelli della teoria della tettonica delle placche  ricordiamo qui che sia l’idea (Ampferer 1916) che la parola subduzione (Amstutz 1959) sono antecedenti alla nascita di questa teoria e furono immaginate allo scopo di risolvere il problema dello spazio o più semplicemente per dare un modello genetico da utilizzare per alcune zone a falde (figg. 10.18-10.21).

 

  

fig. 10.15 – Piegamento e costruzione delle catene montuose; A) compressione per collisione; B) subduzione (Ampferer, 1928).

 

 

 

  

fig. 10.16  - Subduzione crostale (verschlukung), una spiegazione della nascita e sviluppo di un bacino del flysch nelle Alpi (Kraus, 1951); W = Vortiege, cioè avanfossa dove viene depositato “wildflysch” (cioè flysch con olistoliti).

 

  

fig. 10.17  - “Subduzione” come era vista dai geologi alpini (Amstuz, 1955) negli anni 50 prime della elaborazione delle teoria della tettonica a zolle. Il concetto di subduzione, ed il termine  furono usati dai geologi Alpini (Ampferer, Amstutz, Kraus etc.) per un meccanismo di tettonica intracrostale. Qui sono schematicamente mostrati tre momenti di una subduzione che porta alla generazione di una falda Penninica nelle Alpi, con basamento granitico-gneissico (sialico) ed una copertura sedimentaria.

 

fig. 10.18 – Modello di formazione delle catene tramite la risalita di un Astenolite.


 

Le rocce sedimentarie mesozoiche e cenozoiche delle catene alpine possono essere divise in tre principali gruppi che riflettono gli stadi principali della storia della tettonica: 1) sedimenti (“geosinclinalici”) oggi detti di margine continentale passivo, 2) sedimenti tardo-geosinclinalici (principalmente flysch), oggi di margine attivo, 3) sedimenti post-geosinclinalici (principalmente depositi molassici, oggi di avanfossa, fig. 10.15).

 

Le età di questi differenti stadi possono essere diverse da una catena all’altra (dalle Alpi alle Maghrebidi o alle Dinaridi) e soprattutto da una zona paleogeografico-strutturale all’altra nella stessa catena rispettando la cosiddetta “polarità orogenica”, una regola che non ha nessuna (o poche) eccezioni: più esterni sono i domini paleogeografici più recenti saranno sia la tettonizzazione (deformazione, tettogenesi, metamorfismo) sia l’inizio della deposizione dei flysch. Accanto a questa evoluzione tettono-sedimentaria devono essere spiegati in qualsiasi modello dell’evoluzione delle catene alpine, sia gli eventi metamorfici, specialmente del metamorfismo di alta pressione – bassa temperatura che sembra essere avvenuto nelle fasi iniziali per lo meno in alcune catene (figg. 10.23-10.25), sia l’attività magmatica (il vulcanismo ed i graniti tardivi). Tali fatti, ben noti, che sono dedotti dalle analisi tettoniche, petrologiche, sedimentologiche e stratigrafiche, ora sembrano ricevere una spiegazione “globale” piuttosto soddisfacente (ed intellettualmente rassicurante) alla luce della tettonica a placche.

 

fig. 10.19 - Un modello per la storia tettogenetica delle catene Betiche e delle Maghrebidi (Glangeaud, 1956 fig. 3).

A: struttura attuale; B: Miocene inferiore (falde di gravità e inizio di distensioni tardive); C: Oligocene superiore (le maggiori fasi compressive); D: Cretaceo superiore (epoca di distensione).

1 = depositi Miocenici e Plio-Quaternari post-tettonici; 2 = autoctono e subautoctono del Subbetico e del Riff; 3= falde di Malaga; 4 = Mischungszone; 5 = alloctono e falde del Riff; 6 = sial cratonico (equivalente a crosta continentale); 7 = strati crostali intermedi (equivalente a crosta oceanica); 8 = masse più dense che durante l’orogenesi hanno dato luogo a magmi eruttivi (equivalente a mantello superiore). Nota che in questo primo modello l’idea di una fase distensiva preliminare con nascita di una “crosta oceanica” (cioè 7 della legenda) è chiaramente espressa, come le più recenti (post-tettoniche) distensioni Neogene-Quaternario. Nella sezione D indicava la Mesogea (cioè la Tetide) tra l’Europa e l’Africa, la seconda (sez. B-A) all’attuale Mediterraneo.

 

 

 

fig. 10.20 - Un modello per l’apertura Mesozoica del segmento della Tetide (Argyriadis,1975).

Guardando alla posizione strutturale attuale, relativa alle unità ofiolitiche Alpine,di differente facies del Permiano,l’apertura della Tetide, qui ritenuta di età Mesozoica (vedi anche fig. 27) può aver tagliato obliquamente da ovest ad est,(1) la catena varisica settentrionale, (2) il dominio peri-Varisico (piccoli cerchi), (3) il dominio intermediario del Permiano, qui rappresentato da linee orizzontali e il margine Africano meridionale ( e Arabico ) 1= Orogeno Varisico; 2 = Tetide del Permiano o Mesogea (2a = bacino peri-Varisico; 2b = piattaforma permiana; 2c= dominio Africano-Arabico di margine); 3= area occupata dalla Tetide (Mesozoico).



  10.2.2 - EVOLUZIONE DI MODELLI DELLA TETTONICA DELLE ZOLLE APPLICATI NELLA FASE INIZIALE ALLE CATENE ALPINE MEDITERRANEE

 

Indipendentemente dalla loro validità nella loro espressione attuale e/o dall’adattabilità al sistema orogenetico della Tetide, dei modelli della Tettonica delle Placche si constata che questi ultimi  sono numerosi e talvolta tra di loro in contrasto; inevitabilmente sono destinati a essere contraddetti da altri modelli entro pochissimo tempo; questo significa non che i modelli della tettonica a placche siano poco seri ma al contrario che ci si confronta con una teoria contemporanea ed in rapida crescita che forse talvolta avanza più velocemente della scoperta dei fatti, ma che sta anche stimolando nuove ricerche, che permettono di accertare nuovi fatti e conseguentemente, di costruire nuovi e talvolta migliori ma inevitabilmente provvisori modelli.

Saranno quindi illustrati tra i modelli che si ispirano alla tettonica globale, prima alcuni esempi storici (alcuni dei quali precursori o addirittura profetici) e quindi un piccolo gruppo di modelli per dimostrare quanto diverse possono essere (ma comunque possibili) le rappresentazioni. Da un punto di vista storico, si deve ricordare che la teoria attuale, non è la prima espressione di tettonica globale. Mezzo secolo fa seguendo e modificando l’ipotesi della deriva dei continenti di Wegener, Argand geologo della Svizzera alpina, cercò di spiegare la formazione delle montagne nella catena alpina con l’alternarsi di forze compressive e distensive dovute alla deriva dell’Africa rispetto all’Europa (vedi figg. 10.10-10.12ab). Si deve tuttavia notare che un primo modello di Argand supponeva che durante il Mesozoico la geosinclinale alpina sarebbe stata soggetta ad una compressione che aveva indotto un “piegamento embrionale” (invece di una distensione ed espansione che però veniva indicata durante fasi più recenti). Argand in realtà descrive una distensione per la formazione post-alpina degli attuali bacini mediterranei; quindi una distensione tardo Terziaria. Altre spiegazioni dell’orogenesi Alpina in termini di modalità di movimenti dei continenti sono state formulate dopo Argand, ma prima della nascita della vera teoria della Tettonica delle placche (vedi figg. 10.15-10.18).

Quando consideriamo un’area di proporzioni regionali come le Alpi o l’intera fascia alpina mediterranea, la moderna ricerca tettonica e sedimentologica ci porta a differenziare, da un canto, un periodo di sedimentazione di margine passivo come un periodo di distensione di apertura ed espandimento oceanico e dall’altro il periodo di sedimentazione  del flysch e il periodo di piegamento come intervalli temporali di contrazione e chiusura dell’oceano precedentemente formatosi. D’altra parte poiché la tettonica delle zolle nella sua attuale forma, rappresenta la trasposizione “attualistica” dei modelli del presente al passato geologico essenzialmente le due tesi prima descritte furono inizialmente rappresentate da un modello di tipo margine “Atlantico” (distensione, espandimento) (figg. 10.21-10.22) e da un modello di tipo “Pacifico” (subduzione, associata o meno alla formazione di mari marginali cioè bacini di retroarco) (fig. 10.23).

  

fig. 10.21 – Comparazione tra i margini recenti di tipo continentale di tipo Atlantico con i margini continentali della Tetide mesozoica (Bernoulli, 1972). Le sezioni 1 e 3 mostrano due casi di margini continentali attuali dell’Atlantico occidentale. La sezione 2 mostra il margine Africano (Appennini) dell’area oceanica Piemonte-Liguria, la sezione 4 il margine Africano (Dinaridi) dell’area oceanica Dinarico-Taurica. Nota che 2 e 3 sono modelli ricostruiti della situazione del Mesozoico, prima della tettogenesi Alpina.

 

fig. 10.22 - Modello per la formazione di una crosta oceanica Mesozoica dell’ area Piemonte-Liguria (Elter, 1972).              Questo modello cerca di spiegare le relazioni di campagna conosciute e osservate tra le ofioliti Liguri e le loro copertura sedimentaria. La spiegazione è presa in gran parte da Decandia, Elter (1972). Nella figura in alto: Triassico-Medio Giurassico): inizio di stretching e assottigliamento della crosta granitica continentale. Questa prima fase discensionale avrebbe portato alla intrusione di corpi gabbroidi (origine di gabbri e forme associate). Secondo momento (diagramma in basso: Giurassico superiore) lacerazione della crosta continentale ed espandimento, con generazione di uno “hiatus oceanico” tra i due blocchi continentali che si muovono con fuoriuscite basaltiche (pillow lavas, diabasi). La crosta oceanica è fatta di herszoliti, in altri posti di gabbri, in altri di pillows lavas. Questo modello che non coinvolge alcuna dorsale medio-oceanica ha il merito di avere per primo preso in considerazione le osservazioni di campagna, invece di essere trasposto in un modello attualistico; tuttavia manca un’accettabile spiegazione meccanica della causa dello stretching.

 

fig. 10.23 -  Sezioni ipotetiche di aree della Tetide continentali ed oceaniche nel caso delle Alpi occidentali (sezione superiore) e degli Appennini (sezione in basso) (Gilse et al. 1970). Le croci indicano la crosta continentale, i punti il mantello superiore e la crosta oceanica. Questo modello mostra come la tettonica distensiva nel Mesozoico abbia dato origine ad aree con crosta oceanica (zona del Piemonte e delle Alpi centrali ed occidentali) ed aree con crosta continentale assottigliata o non assottigliata. I microcontinenti sono mostrati in aree oceaniche.

 

 

Naturalmente, tale accettazione di modelli ha il difetto di negare la possibilità di modelli non-attualistici. Nondimeno il paragone con gli attuali oceani e margini continentali è apparso sempre più negli ultimi 60 anni di sviluppo delle Scienze della Terra, un affidabile fattore di progresso e di conoscenza. Con riferimento alla regione peri-mediterranea, si possono pertanto individuare tre principali stadi che si succedono nel tempo: 1) lo stadio “pre-Tetide” o “Paleo Tetide”, che contempla il problema della ricostruzione paleogeografica  pre-mesozoica e triassica (fig. 10.24); 2) la nascita e l’espansione della Tetide, che noi possiamo chiamare lo “stadio Atlantico” (figg. 10.25 e 10.26); 3) il periodo di raccorciamento, cioè lo “stadio Pacifico” della Tetide, dove noi possiamo immaginare diversi tipi di subduzione, di formazione di mari  marginali e successivamente di collisioni continentali.

 

 

fig. 10.24 - Successive posizioni dell’ Africa relativamente all’ Europa, come dedotte dalle anomalie magnetiche dell’ Atlantico (Dewey et al.,1973, fig. 2 ridisegnata). Nota che come nelle figure precedenti questa ricostruzione porta a immaginare (A) un largo oceano della Tetide durante il Permo-Trias ad est (future Dinaridi, Hellenidi, Tauridi e Zagros). Al contrario questa area oceanica sarebbe stata molto stretta nella zona occidentale (future Betidi e Magrebidi).


 

fig. 10.25 - Un’ipotesi di ricostruzione palinspastica dei continenti Nordamericano,Europeo,Africano,del blocco Iberico e blocchi continentali più piccoli tra di loro,rispetto alla loro posizione primitiva del Triassico superiore (Dewey et al.;1973). Piccoli blocchi: 1 = Lanzarote; 2 = Haha block; 3 = Meseta marocchina; 4 = Meseta di Orano; 5 = blocco del Riff; 6 = Grande Kabilia; 7 = Piccola Kabilia; 8 = Blocco Calabro; 9 = Blocco Betico; 10 e 11 = Blocco Siculo-Ibleo; 12 = Chott Sahel; 13 = Blocco Balearico; 14 = Blocco Corsico-Sardegna;15 = Blocco dei Monti Tatra; 16 = Blocco del Tirgu-Mures; 17 = Blocco del Sinai.

 

 

 

 

fig. 10.26 -  Successioni mesozoiche della regione Alpino-Mediterranea e della regione occidentale dell’Atlantico centrale:una comparazione (Bernoulli e Jenkyns,1974). Il confronto tra i sedimenti dei margini continentali (con basamento di crosta continentale) e quelle di  aree oceaniche (con basamento oceanico) che mostrano similarità molto evidenti.

 

fig. 10.27 - Un modello di tettonica a zolle per lo sviluppo nel Terziario  delle strutture Alpi-Appennini (Boccaletti et al., 1971). Nero  = crosta oceanica; croci = crosta continentale; zone disegnate con linee verticali distanti = mantello superiore; bianco = astenosfera; tratteggio leggero = coperture miogeosinclinaliche; le zone a tratteggio denso verticale = unità sub Liguri. 1 = unità Apuane Paleozoiche; 2 = zona di Massa; 3 = copertura autoctona Apuana; 4 = falda Toscana; 5 = unità di Cervarola; 6 = zona Umbria-Marche; 7 = zona Brianconnese e Subbrianconnese; 8 = zona di Canetolo; 9 = unità di Caio; 10 = complesso basale dei flysch Liguri; 11 = unità di Cassio; 12 = unità di Sporno; 13 = serie Oligo-Mioceniche di Ranzano; 14 = unità di Gottero; 15 = unità Antola; 16 = Unità delle ofioliti del Bracco; 17 = unità ofiolitiche del massiccio di Voltri; 18 = scisti; 19 = unità Liguri di Balagne; 20 = copertura autoctona della Corsica; 21 = valle del Po, formazioni post-orogeniche. La simmetria, con opposte vergenze, delle strutture Nord-Appenniniche e Alpine (Corsica), ha portato gli autori ad immaginare 3 “zone di subduzione di Benioff” di differente età, che immergono in direzioni opposte.

 

 

Consideriamo brevemente questi tre brevi stadi ed i problemi corrispondenti. Un primo problema  sorge quando noi tentiamo una ricostruzione palinspastica della Tetide  durante il Permiano ed il Trias, cioè prima dell’apertura dell’Oceano Atlantico. Una certa linea di pensiero considera che, l’apertura dell’Oceano della Tetide sia avvenuta soltanto all’inizio del Giurassico, con un'eventuale possibilità che in alcune zone si sia prodotta nel Trias sup.; altre ricostruzioni ci mostrano  (almeno per le zone orientali: future Ellenidi, Tauridi etc.) l’immagine di un Oceano della Tetide (Permiano e Triassico) molto grande tra Eurasia a Nord e Gondwana a Sud. I dati di campagna (principalmente strutturali e sedimentologici) in alcune zone della fascia alpina mediterranea (specialmente nella sua parte occidentale: Alpi, Appennini, Betidi, Maghrebidi) indicano una fase di sedimentazione di piattaforma carbonatica durante il Triassico (fig. 10.28) e che l’inizio dell’apertura e dell’espansione oceanica (formazione della crosta oceanica della Tetide e delle  future ofioliti) sia avvenuto principalmente durante il Giura medio.

 

fig. 10.28 - Schema generalizzato illustrante l’evoluzione paleogeografica di parte del margine continentale meridionale della Tetide durante il Giurassico ((Bernoulli and Jenkyns, 1974). Questo diagramma in cui le altezze sono esagerate mostra la disintegrazione di una iniziale piattaforma carbonatica continua durante il Triassico. Questo evento che avvenne soltanto nel Lias fu molto probabilmente indotto da una tettonica distensionale che diede luogo a domini paleogeografici differenziati che sono mostrati come seamount pelagici o neritici alternantisi con aree bacinali. (In alcune altre aree non riportate in figura, come nella zona del Gavrovo nelle Ellenidi o Abruzzi negli Appennini, le condizioni di piattaforma carbonatica continuarono oltre il Giurassico e anche il Cretaceo).

 

 

Ad Est tuttavia (in alcune zone delle Ellenidi e Tauridi) alcune ofioliti con la loro copertura sedimentaria, (Trias sup.) possono essere interpretate come resti di una crosta oceanica triassica nella Tetide orientale. I dati di campagna che riguardano sedimenti permiani non ci permettono invece, di immaginare alcuna crosta oceanica della Tetide in queste aree durante tale periodo.

D’altro canto questi risultati sono in contrasto con la ricostruzione palinspastica effettuata per il Permiano ed il Trias, quando si  prende in considerazione l’“accostamento” dei margini dei continenti che delimitano l’Atlantico (vedi fig. 10.26). Il modello ipotizzato quindi ci proporrebbe una Tetide molto stretta ad Ovest (le future Betidi e Maghrebidi) ed una Tetide oceanica molto ampia ad Est  (le future Ellenidi, Tauridi etc.). Ma è possibile che questa presunta crosta oceanica permiana sia stata interamente consumata dalla successiva subduzione senza lasciare nessuna traccia? E d’altro canto è corretto ammettere che i margini attuali delle masse continentali, quali l’Africa, siano adesso gli stessi esistenti durante il Permiano, (eliminando la possibilità quindi di scomparsa e di distruzione di crosta continentale per mezzo di un qualsiasi meccanismo?). Comunque, la presenza in certi settori della Tetide, durante il Giura, di crosta oceanica sembra molto probabile, tenendo conto che le ofioliti alpine possono rappresentare resti di  una crosta oceanica mesozoica e di parti del sottostante mantello. L’evoluzione dei margini continentali di queste aree oceaniche durante il Giura ricorda fortemente l’evoluzione dei margini dell’Oceano Atlantico nello stesso periodo (vedi Bernoulli 1979). Dopo gli anni ’80 una serie di studi e ricerche ha suggerito nuove ricostruzioni (vedi Catalano et al., 1990). Ma tale stretto paragone tra i margini continentali non implica obbligatoriamente che la Tetide giurassica fosse paragonabile all’attuale Atlantico, cioè ad un vasto ed unico oceano con la sua dorsale medio-oceanica, e le sue faglie trasformi etc.. I modelli proposti per una Tetide giura-cretacea, attualmente sono molto differenti gli uni dagli altri; un unico e vasto oceano, oppure un mosaico di aree oceaniche più piccole associate a microzolle, e successivamente a mari marginali (Fig. 10.25).

 

fig. 10.29 - Modello della tettonica a zolle dell’evoluzione dell’orogenesi Siciliana (e Nord Africa) (Wezel, 1970).

L’autore cerca qui di spiegare l’evoluzione dell’orogenesi siciliana in termini di tettonica delle zolle mostrando esempi di due tipici modelli attualistici, Atlantico e Pacifico. a = crosta continentale; b = crosta oceanica.

La sezione in basso mostra una fase dell’espansione oceanica (spreading) durante il Cretaceo inferiore. Grazie a questo spreading, si sono depositati i differenti “sedimenti oceanici” che ora appaiono incorporati in unità tettoniche sovrapposte. Sono qui indicati come diacroni e sedimentati in differenti parti del bacino oceanico: 1 = rocce vulcaniche basiche sottomarine e radiolariti; 2 = calcari pelagici; 3 = calcari detritici (microbrecce calcaree con strati più o meno gradati); 4 = argilliti silicee e radiolariti. Il flysch di Monte Soro è considerato come un deposito tra zone di rialzo continentale. La sezione in alto (Miocene inf.) mostra la progressiva chiusura del bacino oceanico grazie alla subduzione, lungo un piano di Benioff, che porterà, nel Miocene medio, alla collisione continentale con la zolla europea (Sardo-Kabilo).

 

Un altro interessante oggetto di ricerca si evidenzia relativamente alla chiusura della Tetide  durante il Cretaceo ed il Terziario, poiché i modelli ora proposti, sebbene più o meno plausibili sono troppo diversi gli uni dagli altri e sono, soprattutto, incapaci di spiegare tutti i fatti accertati. La deposizione dei flysch in bacini sottoposti a fasi compressive della Tetide possono avere spiegazioni attualistiche (fig. 10.10); sono più difficili da spiegare eventi metamorfici coevi o successivi, specialmente metamorfismi di alta pressione / bassa temperatura. In realtà, il movimento dell’Africa relativo all’Europa, sembra essere stato di tipo trascorrente, più che una semplice separazione divergente seguita da una convergenza. Questo potrebbe rappresentare una possibile spiegazione della rotazione antioraria della Corsica – Sardegna ed infine dell’Italia, durante il Terziario, collegabile con una faglia trascorrente sinistra tra i due blocchi.

 

 

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fig. 10.30 – Schema della convergenza Africa-Europa  dall’Arco Calabro-Peloritano verso l’avanpaese africano.