APPUNTI DI GEOLOGIA REGIONALE a cura del Prof. Raimondo Catalano


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INDICE
Nota

01 - BASE STORICA E STRUTTURA GENERALE DELLA GEOLOGIA EUROPEA

 

 L’Europa è il più piccolo dei cinque continenti, ma può essere interpretato come la più piccola parte occidentale del continente Euro-Asiatico che è di gran lunga più grande. La catena montuosa degli Urali forma il limite tra Europa e Asia verso Est; verso Sud-Est e Sud questo limite passa attraverso la parte settentrionale dell’area del Mar Caspio e del sistema delle montagne del Caucaso.
Ovunque inoltre, l’Europa è delimitata dal mare; a Sud dal Mediterraneo e le sue propagini (in particolare il Mar Nero), ad Ovest dall’Oceano Atlantico, a Nord-Ovest e Nord dal Mar della Norvegia e di Barents. Se l’Europa è il più piccolo dei continenti, probabilmente è anche il più complesso, sia dal punto di vista geografico che geologico. La frastagliatura della sua linea di costa, che include numerose isole e golfi, mari epicontinentali (Mar del Nord), e perfino mari intracontinentali (Mar Baltico, Mar Nero, Mar Caspio e Mare di Azov), la complessa orografia che è particolarmente distorta verso Sud, sono caratteristiche che ne testimoniano la complessità. Questa complessità si accentua ulteriormente, quando si considera la struttura geologica nelle tre dimensioni dello spazio, e si studia la sua genesi prendendo in considerazione la quarta dimensione  (immateriale) che è quella del tempo (fig. 1).
 
 
 
Fig. 1 – Carta fisica dell’Europa.
 

CENNI STORICI (figg. 1.2-1.7)
 
 L’Europa, la culla della civiltà occidentale, fu nel 1700 e per gran parte del 1800, la culla delle scienze geologiche. La conoscenza della geologia fu avvantaggiata da alcune circostanze favorevoli sin dall’inizio, circostanze che non erano dovute soltanto a fattori umani e culturali propri di una regione con una popolazione densa ed in rapida evoluzione, ma anche per la natura fisica dell’area.
Sembrerebbe che un fattore importante sia sempre stato l’esistenza della barriera formata dalle Alpi. Che doveva essere attraversata da ogni viaggiatore che andava dall’Italia verso il Reno, o la Manica, da un estremo all’altro della civiltà medioevale o classica. Sin dall’inizio gli Europei credettero in un concetto base, che integrava la genesi delle catene montuose con la storia dei continenti: i continenti sono vecchie catene montuose che sono state erose, livellate e sepolte sotto nuove rocce sedimentarie. Le catene montuose vennero considerate, dalla maggioranza degli AA. Europei, come il risultato della deformazione di una zona continentale marginale diventata debole e fortemente abbassata.
 

Fig. 1.2
 
 
 

 
 
                                                                                                                     
Fig. 1.3
 
 
 
Fig. 1.4 – Fasce orogeniche periferiche del Supercontinente all’inizio del Mesozoico
 
 
Fig. 1.5a – Schema cronostratigrafico e grande scala delle rocce della Terra
 
Fig. 1.5b– Scala stratigrafica della durata di eventi geologici.
 
Nel  1795, James Hutton, indicò le rocce caledoniane della Scozia come “Scisti Alpini”, affermando quindi che questo vecchio basamento aveva fatto parte anche di una catena di tipo Alpino.
Sconosciuta dagli antichi e ultima delle scienze, la geologia si sviluppò a poco a poco grazie alla doppia esigenza a) di capire il passato – la storia del nostro globo terrestre, e conoscere l’attuale struttura e la caratteristica stratificazione delle grandi sequenze di rocce continentali; b) il tentativo di riconoscere una logica nella loro formazione con l’obiettivo di scoprire sostanze utili, in particolare i minerali metallici, (la “geognosi” della scuola di Werner). All’inizio, gli sforzi per ottenere una ricostruzione storica ed una visione comprensiva delle cose erano in anticipo rispetto alla riscoperta dei fatti osservabili di quel tempo, inoltre gli spiriti pionieristici desideravano soprattutto essere visti come “filosofi della natura”. Essi sbattevano la testa contro la barriere religiose dogmatiche o credenze diffuse (come la credenza nel rapido raffreddamento della terra). E se “l’arte dell’estrazione” si considera aver generato la mineralogia e quindi la petrografia, essa all’inizio era un accumulo di dati tecnici, senza che si riuscisse per lungo tempo a realizzare una sintesi. Un passo decisivo venne compiuto verso il 1760, quando si cercò di creare un modello globale che collegasse e correlasse le successioni litostrutturali, identificate in Svezia, in Francia, nell’Europa centrale e negli Urali. Dovunque fu descritta l’esistenza di un basamento “primitivo scistoso e granitico-gneissico (Primario)” che si “incurvava” sotto “strati di più recente formazione” soprastanti, che erano sedimentari, suborizzontali e considerati “Secondari”.
 

 

 Fig. 1.6 – Concetto di falda (Nappe) in pianta ed in sezione


 
Fig. 1.7 – Esempi di megasovrascorrimenti nelle Alpi
 
 
Oggi questa distinzione tra un basamento e le “rocce di copertura”, rimane un concetto essenziale usato come base per redigere una moderna carta geo-tettonica, facendo semplicemente riferimento all’età della superficie di separazione  di non-conformità indicata con il termine di “discordanza basale”. La durata temporale di questa superficie, comunque, non venne colta immediatamente. L’errore dei pionieri Europei fu proprio nell’interpretare il modello evolutivo vedendo in esso il risultato di un’unica ed irreversibile evoluzione a scala mondiale. Questa convinzione diede un’eccessiva importanza ai periodi iniziali, prevenendo ogni analisi sul fenomeno evolutivo dell’orogenesi. L’imporsi del concetto di una comune storia universale, di converso, servì ad accelerare la ricerca stratigrafica. Seguendo una teoria enunciata da Stenone, e più tardi da De Saussure, James Hutton avanzò una nozione basilare: la struttura stratigrafica a grande scala indicata  da Werner era il prodotto di un ciclo ripetutosi indefinitivamente, che aveva formato ogni volta una catena montuosa. Grazie al calore interno della Terra si verificavano dislocazioni o intrusioni nei sedimenti antichi del complesso montuoso, ed il sollevamento dell’intera successione (fig. 1.11). Questo concetto huttoniano trovò il suo principale complemento nel pensiero di Marcel Bertrand. Confrontando le catene europee di differenti età, sia sulle carte che direttamente nello studio della loro evoluzione, egli potè stabilire alcune similitudini sorprendenti: ogni catena ha i suoi gneiss, flysch, molasse, il suo magmatismo iniziale, principale, finale etc. Hans Stille (1924), il cui lavoro costituisce la base per tutte le sintesi successive della struttura europea, estese ed aggiunse dei particolari a questo schema, che è una specie di “modello programmato” (le successive interpretazioni di esso diventarono troppo rigide); in aggiunta egli mostrò che in una larga banda delle zone costiere ed interne, movimenti di compressione, distensione e specialmente di rottura, corrispondono ad una vera orogenesi di “tipo Alpino”; un concetto che fece capire, per esempio, come le strutture di tipo Sassone-Germanico dell’Europa centrale formatesi in un dominio completamente estraneo a quello proprio delle catene Alpine abbiano però un’età “Alpina”. Un’altra teoria di Stille è quella riguardante la sorte ultima di una catena di tipo Alpino, che dopo la sua erosione, finisce con l’essere incorporata (nei) ed unificata con cratoni confinanti; tuttavia, secondo Stille, questo processo di cratonizzazione, che è all’origine delle maggiori piattaforme continentali stabili (ad es. la piattaforma orientale Europea, con lo scudo Baltico) non viene sempre portato a termine nella fase iniziale; l’area infatti può rimanere allo stadio quasi-cratonico, che determina una piattaforma instabile, deformata in massicci e bacini. In questo stato la regione, può, più facilmente di un cratone, ritornare ad uno stadio di geosinclinale, dovuto alla subsidenza verticale o alla distensione. L’esempio invocato è quello di una larga parte del quasi-cratone varisico nell’Europa orientale e meridionale, rimobilizzato poi in “tempi Alpini”.
La scuola parigina giocò un ruolo che fu allo stesso tempo importante e discutibile. Lavoiser (1789) riconobbe nelle rocce terziarie del Bacino di Parigi quelle variazioni del mare che avevano causato la deposizione di strati alternativamente litorali e pelagici (un’idea che fu sviluppata da Prevost). Cuvier (con Brogniart) notò che le faune corrispondevano ad ogni variazione del livello del mare. Da parte sua, Elie de Baumont, che da solo investigò metà della Francia, scoprì la molteplicità dei “sollevamenti” o crisi di movimento del terreno nello spazio e nel tempo. Una teoria catastrofica nacque, sviluppata da A. d’Orbigny nel 1850-1852: ogni “rivoluzione del globo” era per lui connessa con un’improvvisa crisi orogenica che distruggeva la fauna.
Da queste convinzioni nacque la nozione di “piano stratigrafico”, un’unità temporale sia distinta che delimitata rispetto alle rocce adiacenti, una sezione di sincronismo universale. Questa nozione di piano (prodotta suo malgrado, da concezioni di partenza erronea) regna ancora nell’Europa continentale, nonostante le leggere variazioni (modifiche) che sono state operate, vedi moderna cronostratigrafia. In Europa, l’evoluzione della nozione tettonistica (cioè del movimento) come metodo di indagine è stato curiosamente condizionato dalle fluttuazioni nella politica e nel senso comune. Il significato di tale approccio fu sconosciuto e perfino non accettato prima della Rivoluzione Francese (a parte Hutton) e si sviluppò specialmente dopo il 1848 e ancor più dopo il 1870. Nel 1829 Elia de Beaumont scoprì che le serie sedimentarie Alpine erano più spesse e più “pelagiche” delle equivalenti presenti nel bacino anglo-parigino; egli non fu capace di collegare questi dati, sebbene (da un punto di vista delle conoscenze del tempo) sarebbe già stato possibile vedere in questi caratteri la diversa subsidenza che aveva influenzato i due bacini ed in generale la fonte della nozione di geosinclinale di Hall e Dana.
Questo Autore inoltre, come tutti i suoi contemporanei, non comprese le strutture di sovrascorrimento rispetto ai sollevamenti verticali; egli descrisse come tale il grande sovrascorrimento nel nord della Francia ma si rifiutò di vedere in esso qualcosa che non fosse una semplice anomalia di tipo stratigrafico. Di fatto il concetto di falda di sovrascorrimento cominciò a prendere sviluppo dopo il 1870, e per lungo tempo rimase una peculiarità europea a scala generale; vista per la prima volta in Belgio da Corret e Briard si sviluppò nelle Alpi grazie a Bertrand (1884). La teoria delle nappes (falde) subì una fase di trionfale accettazione negli anni 1890-1910, seguita da un periodo di negazione generale in Europa, ad eccezione della Svizzera (Lugeon, Argand, Staub) e Scozia (Bailey). Solo dal 1945 la teoria delle falde di sovrascorrimento divenne un fatto concreto, accettato da tutti. La dimensione del fenomeno e l’assenza di una spiegazione alternativa soddisfacente che spiegasse le immense coltri di basamento cristallino sovrascorse nelle Alpi orientali, mise la “piccola Europa” in modo incontestabile in una posizione preminente: questo spiega anche la non “scoperta” o la “scoperta tardiva” di tali strutture in altri continenti. Alla geologia europea di deve la teoria della deriva dei continenti (Wegener, 1915), e per deduzione da essa, una completa teoria globale dell’orogenesi e dell’epirogenesi (Argand, 1924-1934). Questa teoria fu applicata da Argand essenzialmente alle catene di tipo Alpino  ed egli postulò l’esistenza di un  SIMA (nel senso di Suess, 1903) strato viscoso rispetto alle zone sialiche.
Una motivazione che spiega la reticenza di alcuni geologi Europei verso ciò che è stata chiamata la “rivoluzione” della tettonica globale, risiede nell’onnipresenza sul territorio europeo di fatti che imposero la nozione di fasi tettoniche sovrapposte. Nelle aree dove le condizioni di osservazione sono favorevoli, si possono osservare dei complessi piegati e più o meno metamorfosati, che comprendono porzioni più o meno estese o rielaborate di precedenti complessi piegati. Da questo punto di vista le Alpi con i loro massicci cristallini “ercinici”, e specialmente la Scandinavia e la Scozia, hanno giocato un ruolo didattico essenziale, imponendo i concetti di riattivazione, ringiovanimento, rigenerazione, rimobilizzazione, palingenesi etc. Materiale granitico rielaborato abbonda in tutte le catene Europee dove i frammenti di crosta oceanica sono scarsi e di origine discutibile. Quindi le maggiori caratteristiche della struttura d’Europa sono definite dall’età, in ogni regione, dell’orogenesi principale, o più esattamente dell’orogenesi più tardiva, cioè sono definite dall’età di “cratonizzazione” di ogni frammento del continente. Visti sulla carta (vedi figg. 1.2-1.4) queste larghe suddivisioni mostrano un modello che è un complesso non delineabile e poco comparabile con ciò che appariva evidente in altri continenti, lo studio dei quali sembrerebbe giustificare l’idea della loro formazione mediante meccanismo di accrescimento periferico, spiegabile con una progressiva cratonizzazione intorno ad un vecchio nucleo delle fasce marginali circondate dal mare (vedi fig. 1.4).
 
 
Fig. 1.8 – Unità tettoniche dei cicli paleozoico-mesozoici e posizione delle unità erciniche.
 
 
 
Fig. 1.9 – Carta strutturale schematica dell’Europa.
 
Così in Europa si è imposta inizialmente una prima grande suddivisione. L’Europa meridionale è l’Europa Alpina; l’Europa centrale, settentrionale ed occidentale è l’Europa Precambriana, Caledoniana e Varisica (fig. 1.8). La prima è quella di più recente formazione ed è tuttora in evoluzione e quindi non può essere ancora considerata completamente cratonizzata. La seconda si è consolidata (cratonizzata) in differenti epoche precedenti il ciclo Alpino, ed in ultimo durante il ciclo varisico. Quest’ultimo si concluse con la fase di molteplici lineamenti trascorrenti che formarono un reticolo geometrico (fig. 1.9).
Da allora questa parte (non Alpina) è stata soltanto interessata da movimenti epirogenici (verticali), lente deformazioni caratterizzate da un largo raggio di curvatura della struttura cratonizzata; questi movimenti regolarizzerebbero le trasgressioni e le regressioni dei mari epicontinentali e la distribuzione e ispessimento dei loro sedimenti. Considerata nel suo insieme l’Europa può essere divisa in 4 domini strutturali principali, ognuno caratterizzato dall’ultima cratonizzazione dalla quale fu interessata (figg. 1.10 – 1.11)
1)      Europa Precambriana o Fennosarmazia (Ur-Europa di Stille);
2)      Europa Caledoniana (Paleo-Europa);
3)      Europa Varisica (Meso-Europa) a cui devono essere aggiunti gli Urali, la frontiera con l’Asia;
4)      Europa Alpina (Neo-Europa);
 
 
 
 
Fig. 1.10 – Le maggiori suddivisioni strutturali dell’Europa secondo Stille, 1924.
 
 
 
Fig. 1.11 – Schema strutturale d’Europa secondo Bertrand, 1888.
1= limite meridionale della zona Uroniana; 2= limite della zona Caledoniana; 3= limite settentrionale della zona Ercinica; 4= limite Ercinico; 5= limite della zona Alpina.
 
Va comunque sottolineato che l’Europa Alpina include alcuni nuclei di materiale, precedentemente cratonizzato, ercinico o più vecchio e talvolta policiclico, che furono coinvolti nella deformazione Alpina, che l’Europa ercinica (varisica) è sovrapposta su complessi piegati e metamorfosati di età Caledoniana e soprattutto Precambriana, che l’Europa Caledoniana include nuclei di gneiss Precambriani, e infine che l’Europa Precambriana mostra la sovrapposizione di quattro precedenti orogenesi (fig. 1.12).
 
 
  
Fig. 1.12 – Posizione della catena Alpino-Himalayana rispetto ai cratoni Europeo ed Africano. Le frecce sono dirette verso le zone esterne ed indicano la polarità orogenica (nel riquadro una ricostruzione pre-terziaria dei frammenti continentali.
 
 
 
 
CENNI SULLA NOZIONE DI GEOSINCLINALE
 

 
 
Fig. 1.13 – Schema riassuntivo delle caratteristiche principali di una coppia elementare eugeosinclinale-miogeosinclinale (da J. Aubouin, 1959 e 1961).
 
La fig. 1.13 mostra lo stadio orogenetico (terminale) dell’evoluzione della geosinclinale, corrispondente alla fase in cui la ruga eugeoanticlinalica sollevandosi fornisce il materiale detritico del flysch che si accumula nel bacino eugeosinclinalico, non raggiungendo le parti più esterne (dovuto al cosiddetto “effetto di barriera in cavità” del bacino eugeosinclinalico); le ofioliti (simbolo) sono state emesse parecchio tempo prima durante lo stadio del “geosinclinalico”; questa figura rappresenta un momento dell’evoluzione della coppia miogeosinclinale-eugeosinclinale. Lo spazio eugeosinclinalico è divisibile in una ruga eugeoanticlinalica ed in un bacino eugeosinclinalico, lo spazio miogeosinclinalico in una ruga miogeoanticlinalica ed in un bacino miogeosinclinalico.
Le parti più profonde dell’avampaese, del bacino miogeosinclinalico, della ruga miogeoanticlinalica, e infine della ruga eugeoanticlinalica, sono certamente sialiche (odierna crosta continentale) come mostrato nella figura; le parti più profonde del bacino eugeosinclinalico sono indicate, con molta certezza, come simatiche (crosta oceanica, mantello), ma la cosa non è sicura.
Hochkraton e Tiefkraton sono termini usati da H. Stille per designare rispettivamente l’“area continentale” dalle parti profonde sialiche (l’uso ha conservato solo la radice “cratone”) e l’“area oceanica” il cui fondo può essere simatico (questo termine non si è conservato).
 
 
 

 
Fig. 1.14 – Schema riassuntivo delle caratteristiche di una doppia coppia a simmetria centrifuga (geosinclinale bilaminare che origina una catena a doppia vergenza) (da J. Aubouin, 1959 e 1961).
 
Anche la fig. 1.14 rappresenta lo stadio orogenetico (terminale) del periodo geosinclinalico di ciascuna coppia; avendo supposto, per comodità di rappresentazione, che questi due stadi sono contemporanei nelle due coppie, cosa che per altro non accade sempre.
Come nella fig. 1.13, le rughe eugeoanticlinaliche sono sollevate ed alimentano la sedimentazione flyschioide nei bacini eugeosinclinalici senza che il materiale detritico si sposti verso le parti più esterne (effetto di “barriera in cavità”); nelle due coppie le ofioliti sono state emesse prima di questo stadio. Secondo Still le rughe eugeoanticlinaliche si pone una “regione arretrata intermedia” (massiccio intermedio = Zwischengebirge), oppure una cicatrice (Narbenzone); si può anche supporre che le due rughe eugeoanticlinaliche possano coalescere; infine, si conoscono casi in cui queste due rughe mancano, e i due bacini eugeosinclinalici ne formano uno, unico, più grande.
 
 
 
  
Fig. 1.15 – Schema di associazione di quattro coppie eugeosinclinale-miogeosinclinale in due coppie a simmetria centrifuga ed in una coppia a simmetria centripeta (geosinclinale pluriliminare) (da J. Aubouin, 1959 e 1961).
 
Anche la fig. 1.15, come le due precedenti, rappresenta lo stadio orogenetico (terminale) del periodo geosinclinalico di ciascuna coppia; avendo ammesso, per comodità di rappresentazione, che questi stadi sono sincroni nelle quattro coppie considerate, cosa che generalmente non accade, esistenti nella loro evoluzione; di conseguenza, la figura non è che indicativa.
Nella parte inferiore della figura, ciascuna delle zone paleogeografiche dell’insieme italo-dinarico e dell’arco alpino è stato menzionato e raffigurato in base allo schema. Per ciò che concerne la doppia coppia a simmetria centrifuga, la natura delle sue zone di simmetria è variabile, come indicato nella legenda. Nella coppia Dinaridi-Balcani s’intercala, tra le rughe eugeoanticlinaliche, un “avanpaese arretrato” intermedio (massiccio del Rodope).
Nella doppia coppia Alpi occidentali-Appennino, la situazione è meno chiara a causa di una intensa tettonizzazione: è possibile che sia esistito un massiccio intermedio, ma attualmente, niente ne indica la presenza; è pure possibile che ci sia stata una “cicatrice” intermedia; è possibile, infine, che i due bacini eugeosinclinalici siano stati contigui; questo è un problema ancora da risolvere. Per quanto riguarda la doppia coppia a simmetria centripeta Appennini-Dinaridi, la zona di simmetria è un avampaese intermedio (ruga d’Apulia) o considerato parallelo; più a nord i bacini mmiogeosinclinalici sono contigui.
Nella fig. 1.16 viene mostrato un modello di evoluzione di una coppia miogeosinclinale-eugeosinclinale riferita all’esempio delle Ellenidi.

 



Fig. 1.16 – Modello di evoluzione di una coppia miogeosinclinale-eugeosinclinale riferita all’esempio delle Ellenidi (da J. Aubouin, 1965).
Questo diagramma mostra più chiaramente gli stadi più importanti dell’evoluzione di un orogenesi Alpina-Mediterranea: la sedimentazione (1-3) geosinclinalica con messa in posto di ofioliti (3, ma guarda sotto); deposizione di flysch (4-8) con migrazione nel tempo e nello spazio (onda orogenica); deposizione di molasse (8-11). Questo modello chiaramente mostra “l’onda orogenica” con una migrazione della tettogenesi e di sedimentazione dei flysch dalle parti interne verso quelle esterne della catena, e il periodo post geosinclinalico (10, 11) con generazione di graben. Le ofioliti sono qui considerate come il risultato di fuoriuscita di magma sul fondo oceanico). Per altri più recenti modelli di generazione di ofioliti e messa in posto, dallo stesso autore).