Corso di Geologia

Argomento: Processi e Prodotti Geologici


INDICE


7.3 - DEFORMAZIONE
Abbiamo già visto che le rocce sedimentarie si formano per la maggior parte come masse stratificate disposte pressoché orizzontalmente. Eppure è facile osservarle oggi piegate, o fratturate, cioè, in una parola, deformate. Le deformazioni, quali le pieghe e le fratture, sono dette strutture tettoniche, dal termine Tettonica (dal gr.: arte del costruire) che indica la disciplina che le studia. Strutture tettoniche spettacolari appaiono con evidenza nelle catene montuose, ma possono esistere anche in aree a morfologia pianeggiante o sul fondo degli oceani.

  7.3.1 - Come di Deformano le Rocce
Fratture e pieghe sono le più comuni forme di deformazione delle rocce della crosta terrestre. Ma com'è possibile che materiali così duri e rigidi possano essere piegati e distorti come se si trattasse di sostanze tenere e flessibili? Le rocce, come molti materiali, possono essere distinte in fragili e duttili. Quando si cerca di deformare un materiale fragile, oltre un certo limite esso si rompe; le sostanze duttili (flessibili) al contrario, prima di rompersi sono in grado di subire sensibili deformazioni plastiche. Il comportamento, fragile e duttile, di un certo materiale dipende però in larga misura dalla pressione e dalla temperatura. Una roccia situata a una certa profondità nella crosta, ad esempio, è sottoposta ad un'enorme pressione di carico da parte delle rocce che le stanno sopra, ma questa pressione non è unidirezionale, cioè non è diretta dall'alto in basso; essa si esplica tutt'attorno al nostro campione che viene compresso da tutte le direzioni (pressione litostatica). Tutte le rocce che a pressione atmosferica mostrano un comportamento fragile e si fratturano, una volta superato un certo limite minimo di pressione litostatica, aumentano sensibilmente il campo della loro deformazione plastica. La figura collegata mostra i risultati di un ben noto esperimento: un cilindro di marmo sottoposto in laboratorio a crescenti compressioni triassiali. A basse pressioni, che simulano debole profondità della crosta terrestre, il cilindro cede fratturandosi; ad alte pressioni il cilindro di marmo si deforma plasticamente <>.


Quando si analizzano le deformazioni delle rocce, un fattore addizionale, molto importante da considerare, è il tempo. Le forze che deformano le rocce agiscono per milioni di anni per cui si ha comportamento plastico anche a limiti molto inferiori e questo è ancor più vero se le rocce sono calde o contengono fasi idrate.


  7.3.2 - Le Faglie
Quando una massa rocciosa si frattura subisce una deformazione che viene detta discontinua perché lungo la rottura punti della massa rocciosa stessa originariamente contigui non sono più in contatto tra loro. Le rotture che possono prodursi nelle rocce sono di due tipi:
  • " Fratture (o fenditure) senza spostamento, dette litoclasi o, se di dimensioni relativamente modeste, diaclasi.
  • Fratture con scivolamento dei due blocchi (o di uno solo di essi) lungo il piano di rottura: sono dette faglie e sono di gran lunga le più importanti.

Con il termine di "faglia" si intende dunque una frattura in una massa rocciosa, ai lati della quale siano avvenuti scorrimenti che hanno spostato, l'uno rispetto all'altro, i blocchi situati da bande opposte della superficie di frattura. In una sezione naturale, come può essere una parete rocciosa nuda, questa dislocazione può presentarsi come nella figura connessa e l'entità dello spostamento può essere minima ma anche grandissima (fino a qualche migliaio di metri).


Nel caso di spostamento molto piccolo, il fatto è pressochè trascurabile agli effetti dello studio strutturale di una regione; quando invece lo spostamento è notevole, occorre considerarne attentamente tutti gli aspetti. Cerchiamo ora di vedere la faglia come entità geometrica nello spazio a tre dimensioni. Immaginiamo un blocco di strati e lo spostamento lungo un piano di frattura. Il movimento è quello rappresentato nella figura connessa.


Non dobbiamo pensare però che questa spiegazione del movimento, essendo la più semplice, corrisponde sempre a realtà. Uno stesso dislivello di strati in due labbri di una faglia può essere originato da movimenti differenti. In altre parole quando noi osserviamo la sezione di una faglia, il dislivello degli strati non ci esprime il movimento, ma in generale la proiezione del movimento sul piano della sezione, cioè una componente del movimento stesso.


Lo spostamento tra due punti omologhi nei due labbri di una faglia si chiama rigetto, e si può misurare perpendicolarmente ai piani di stratificazione. Nel caso degli strati orizzontali il rigetto rappresenta la componente verticale del movimento (retta a nella figura connessa).


Il rigetto è una misura che vale per un determinato punto della faglia: avrà un valore massimo che degraderà fino ad annullarsi nel punto in cui la faglia termina (fig. connessa A), oppure potrà anche avere un valore costante per tutta la lunghezza della faglia, se quest'ultima finisce bruscamente entro un'altra faglia, (fig. B)


Altro elemento della faglia è dunque la sua lunghezza. Negli esempi considerati il piano di faglia forma un certo angolo con i piani di stratificazione; questo è un altro elemento variabile. Immaginiamo di potere osservare le faglie con una certa inclinazione (figura); la massa rocciosa che si trova sopra il piano di faglia viene indicata come tetto (A e C); mentre la faccia al di sotto come letto o muro (B e D).



  7.3.2 - Come si classificano le faglie

La classificazione di gran lunga più seguita è quella basata sul criterio genetico. Osservando la figura precedente, si può vedere che, negli ultimi stereogrammi C e D il tetto è abbassato rispetto al letto, al contrario degli stereogrammi A e B, dove il tetto è invece sollevato rispetto al letto stesso. Le dislocazioni rappresentate in C e D si dicono faglie dirette o normali; quelle in A e B si dicono faglie inverse. Tra i due tipi esiste una differenza sostanziale; basta pensare, riferendoci al blocco di strati rappresentato nella B della figura connessa, che dopo la faglia diretta esso risulta allungato (A) mentre in C, nel caso della faglia inversa, risulta raccorciato.




Possiamo quindi dire che la faglia diretta rappresenta una distensione; la faglia inversa una compressione, un raccorciamento. Nei due tipi di faglie ora descritti, la componente principale del movimento è verticale. Esiste un terzo tipo di faglie in cui la componente principale del movimento è orizzontale (parallelo alla direzione del piano di faglia): sono queste le faglie trascorrenti. Le faglie trascorrenti, a seconda del movimento relativo dei due blocchi separati dal piano di faglia, si possono suddividere in destre e sinistre.


La natura delle faglie trascorrenti può essere apprezzata immaginando una persona su uno dei blocchi, con lo sguardo rivolto verso il piano di faglia, osservare il movimento del blocco opposto; se lo spostamento di quest'ultimo è verso destra la faglia sarà a destra. Ovviamente trattandosi di movimenti relativi, il senso del movimento non cambia se l'osservatore si sposta da un blocco all'altro. Abbiamo visto che esistono sui fondi oceanici altre faglie a prevalente movimento orizzontale (faglie trasformi) il cui meccanismo di formazione e il significato cinematico differiscono però da quello delle faglie trascorrenti.
Esempi di piani di faglia
Spesso l'attrito ha prodotto una perfette lisciatura del piano ("specchio di faglia"), sul quale si possono osservare striature che indicano il movimento relativo.


Da entrambe le parti del piano di faglia possono essere presenti caratteristiche uncinature delle superfici preesistenti, dalle quali pure può essere ricavato il senso di movimento relativo, e fenditure di tensione, spesso mineralizzate e per lo più disposte in modo da formare un angolo attorno ai 45° con il piano di faglia. Il piano di faglia può corrispondere ad una zona di faglia o di frizione, nell'ambito della quale quella che può essere definita come faglia principale è accompagnata da altre faglie secondarie, aventi la stessa direzione ma rigetto inferiore.


  7.3.2 - Dimensioni delle faglie e periodo di funzionamento
Assimilabili a superfici piane, le faglie hanno due dimensioni: la lunghezza, osservabile sulla superficie terrestre, e la profondità. Entrambe queste misure possono avere valori assai variabili, da alcuni decimetri a centinaia di chilometri (vedi faglia di S. Andreas).


Per rendersi conto dello sviluppo in lunghezza di alcune faglie è sufficiente considerare i grandi sistemi di fosse tettoniche, legati a faglie normali, le gigantesche faglie trascorrenti e le zone di subduzione allungate migliaia di chilometri che possono essere considerate , sotto molti aspetti, come faglie inverse. La profondità massima delle faglie è invece decisamente minore: anche nei casi più imponenti, esse non superano generalmente lo spessore della litosfera (un centinaio di chilometri) perchè crescendo la profondità, le rocce tendono a deformarsi plasticamente. Comportamenti fragili sono tuttavia segnalati dalla sismologia in corrispondenza delle zone di subduzione anche fino a 700 km di profondità.


  7.3.2 - Criteri per riconoscere le Faglie
I criteri per individuare le faglie sono numerosi. Anzitutto, se le faglie sono recenti e, ancor oggi attive (sono così definite quelle che hanno avuto movimenti almeno una volta negli ultimi 35.000 anni o più volte negli ultimi 500.000), vi sono i criteri fisiografici (scarpate, spostamenti di alvei o di spartiacque, allineamenti di selle, di sorgenti, ecc.).
Tra le faglie attive, quelle sismogenetiche (cioè capaci di generare terremoti) possono essere evidenziate anche sulla base dell'allineamento degli epicentri dei sismi. Il criterio più ovvio è quello della brusca discontinuità che interviene nei terreni da una parte e dall'altra del piano di faglia. Spesso, specialmente in rocce stratificate, le faglie possono determinare in superficie una ripetizione o, al contrario, una mancanza in una successione dei terreni. Infine, ha ovviamente particolare importanza il piano di faglia, che tuttavia non è sempre esposto all'osservazione diretta e, comunque, lo è generalmente per brevi tratti rispetto alla sua estensione.


  7.3.3 - Le Pieghe
La piega è il tipo di deformazione più comune nelle rocce stratificate sottoposte a compressione. Senza entrare nel complesso problema delle modalità di formazione di una piega, forniamo subito alcuni elementi atti a procedere ad una rapida individuazione e descrizione di queste deformazioni. L'anticlinale è una piega semplice in cui il nucleo, e cioè la parte concava, è costituito dai terreni più antichi (a); la sinclinale è quella il cui nucleo è costituito da terreni più recenti (b).


Queste definizioni valgono soltanto per pieghe semplici. In particolari condizioni di complicazione il nucleo di una forma convessa verso l'alto può essere costituito dai terreni più recenti e viceversa, al nucleo di una forma concava verso l'alto si possono trovare i terreni più antichi. Ciò avviene se le pieghe coinvolgono un pacco di strati originariamente rovesciati.


In una piega si chiama cerniera la zona dove la curvatura degli strati appare massima; fianchi (o gambe) si dicono i due versanti degli strati che convergono nelle cerniere. Su una superficie piegata la linea che unisce i punti di massima curvatura si dice linea di cerniera. In un pacco di strati piegati la superficie che contiene tutti i punti di massima curvatura degli strati si dice superficie assiale; se essa è piana si parlerà invece di piano assiale. Nei casi semplici l'intersezione della superficie assiale con una superficie di strato può essere considerata come asse di una piega e rappresentarne la direzione d'allungamento. E' evidente che in questi casi linea di cerniera e asse della piega coincidono.


Sulla base dei caratteri geometrici ora descritti, è già possibile raggruppare le pieghe in diversi tipi. Il tipo più semplice di piega è la flessura o monoclinale, rappresentata da una improvvisa piegatura, a immersione unica, che raccorda due pacchi di rocce stratificate ad andamento piano. Gli strati in una flessura possono avere lieve pendenza,


ma possono anche essere raddrizzati fino alla verticale e anche piegati oltre la verticale stessa. In questi casi si parlerà di pieghe a ginocchio.


A secondo della posizione del piano assiale le pieghe si possono suddividere in simmetriche e asimmetriche. Si definisce piega simmetrica quella in cui la superficie assiale è un piano di simmetria della piega.


Negli altri casi le pieghe si indicano come asimmetriche: in genere, in misura più o meno accentuata, il piano assiale è inclinato.


Se il fianco più ripido oltrepassa la verticale si ha una piega rovesciata;


se il piano assiale è suborizzontale la piega si dice coricata.


Per tutte le pieghe asimmetriche il senso di rovesciamento della struttura (cioè il lato opposto all'immersione della superficie assiale) viene indicato come vergenza della piega. Continuando questa classificazione basata sulla forma geometrica di una superficie ideale, si potranno distinguere


- pieghe isoclinali, quando i due fianchi della piega sono tra loro paralleli; - pieghe a ventaglio, quando i fianchi convergono verso il nucleo della piega stessa; - pieghe a scatola, con fianchi subverticali e due cerniere che delimitano una zona piatta.


  7.3.3 - Pieghe-Faglie
Sotto spinte tangenziali sempre più intense, le pieghe rovesciate evolvono nelle pieghe-faglie, in cui il fianco intermedio, che raccorda l'anticlinale alla sinclinale adiacente, si è andato stirando sempre più, fino a rompersi.


A questo punto un'ulteriore compressione conduce alla formazione di una faglia inversa a piano suborizzontale che abbiamo chiamato sovrascorrimento o accavallamento.


La formazione degli accavallamenti, e cioè di movimenti compressivi lungo piani relativamente poco inclinati, non sempre evolve da iniziali pieghe rovesciate. Quando le rocce si sono comportate con notevole rigidità, le faglie inverse hanno la superficie di scorrimento molto più ravvicinata alla verticale ed in questo caso si usa spesso parlare di scaglie tettoniche.





  7.3.3 - Criteri per riconoscere le pieghe
Per le pieghe, il criterio più facile e sicuro consiste nel trovarne le cerniere.

Ciò è praticamente sempre possibile per le pieghe di dimensioni piccole e medie, tali da poter essere osservate nella loro interezza direttamente negli affioramenti. Il problema si pone per le pieghe maggiori, la cui cerniera può non essere ben esposta o, comunque, immediatamente individuabile come tale.

Nella maggior parte delle situazioni, si potrà rilevare una ripetizione di formazioni geologiche simmetriche rispetto ad una porzione centrale, consistente nel nucleo. Inoltre, se sono presenti strutture sedimentarie che indichino qual è la parte più recente della successione, si potrà anche stabilire se si tratta di un'anticlinale o di una sinclinale. Molti altri criteri, che qui non è possibile discutere, si fondano sull'osservazione di strutture tettoniche, specie di quelle a piccola scala.


  7.3.4 - Ricoprimenti
La parola ricoprimento indica una sovrapposizione anomala, per cause tettoniche, di una massa rocciosa, realmente molto estesa, su altre masse rocciose, che si realizza lungo una superficie di taglio pressoché orizzontale. Oltre che la situazione di sovrapposizione, con il termine ricoprimento si indica anche sia la traslazione che ha generato la sovrapposizione, sia la massa ricoprente; quest'ultima viene tuttavia più correttamente denominata falda di ricoprimento. Alti termini utilizzati sono alloctono ed autoctono, con cui si indicano rispettivamente la massa ricoprente e quella ricoperta. Le falde di ricoprimento possono essere definite come strutture tettoniche per piega o per faglia, mediante le quali si realizza un'ampia traslazione sub-orizzontale di una massa rocciosa di grandi dimensioni.
Un movimento della stessa entità lungo un piano inclinato, anziché sub-orizzontale, conduce infatti ad una sovrapposizione molto minore, cui si riserva il nome di accavallamento.


  7.3.4 - Genesi delle Falde di Ricoprimento
Il trasferimento di masse rocciose che dà luogo al ricoprimento può essere ottenuto con sollecitazioni tangenziali o sotto l'azione della forza di gravità; nei differenti casi si generano falde di forma diversa.

  7.3.5 - Giacitura delle rocce e carte geologiche

Le masse rocciose che hanno una loro definita forma geometrica tridimensionale, sono esposte raramente nella loro interezza, o perché parzialmente erose e smantellate, o perché coperte da detriti e vegetazione. Il geologo si deve perciò accontentare di parti rocciose isolate, i cosiddetti affioramenti, e da essi ricostruire l'andamento generale degli strati e delle formazioni rocciose.



Di ogni affioramento è perciò necessario conoscere la giacitura, ossia la posizione nello spazio delle formazioni rocciose che lo costituiscono. Elementi essenziali sono la direzione, l'immersione e l'inclinazione. Gli strati, i banchi rocciosi e i vari corpi geologici sono definiti e delimitati da superfici in contatto. La direzione di una qualsiasi di queste superfici è rappresentata da una retta formata dall'intersezione della superficie stessa con un piano orizzontale e si esprime con l'angolo che tale retta forma con la direzione del Nord. L'inclinazione è l'angolo che la superficie in questione forma con il piano orizzontale; essa è quindi definita da un angolo zenitale (misurato cioè su un piano verticale). Complementare alla direzione, cioè ad essa perpendicolare, è l'immersione, la linea di massima pendenza, che indica verso quale punto dell'orizzonte la superficie è inclinata; l'immersione è definita da un angolo azimutale (misurato cioè su un piano orizzontale). Direzione e immersione si misurano con la bussola da geologo nella quale è compreso il clinometro che serve a misurare l'inclinazione. Nelle carte geologiche questi elementi di giacitura vengono indicati con un segno a forma di ?, nel quale il trattino superiore indica la direzione e quello verticale l'immersione dello strato o della formazione. A volte un piccolo numero, posto lateralmente, indica i gradi d'inclinazione. Per la realizzazione di una carta geologica, il rilevatore di campagna raccoglie tutte le informazioni necessarie a descrivere le caratteristiche litologiche, giaciturali e strutturali degli affioramenti. A questo scopo il geologo fa uso di una specifica attrezzatura (bussola dotata di clinometro, lente di ingrandimento, martello per prelevare campioni da sottoporre ad analisi di laboratorio,....) ed utilizza una base topografica, scelta ad una scala opportuna, per ubicare la posizione dei dati raccolti.

La lettura della carta topografica, nella quale con il metodo delle isoipse viene rappresentata la morfologia della superficie dell'area da rilevare, permette di costruire dei modelli tridimensionali e dei profili topografici (evidenziati in viola). Le unità unità litologiche riconosciute vengono campite secondo fasce contornate dai limiti tettonici o stratigrafici. La carta geologica prodotta permetterà la ricostruzione dell'andamento nel sottosuolo dei corpi e delle strutture riconosciute in superficie attraverso la realizzazione di sezioni geologiche lungo le tracce dei profili topografici suddetti o di modelli tridimensionali. Una legenda dei simboli rappresentativi delle varie unità stratigrafiche e dei limiti integra la carta geologica.