Corso di Geologia

Argomento: Processi e Prodotti Geologici


INDICE


7 - PROCESSI E PRODOTTI INTERNI
Distinguiamo tre tipi di processi interni:
 
  1. Magmatismo: la produzione di rocce fuse (magma e lava) dentro la terra, il modo in cui le rocce ignee cristallizzano dal magma e le strutture che queste formano dentro e sulla superficie della crosta.
  2. Metamorfismo: la trasformazione di rocce allo stato solido dentro la terra, dovuta all'azione di temperatura ed alla pressione.
  3. Deformazione: la distorsione e la deformazione delle rocce dell'interno della terra dovute a tensioni direzionali.

Tutti questi processi possono operare simultaneamente, poiché gli agenti della temperatura, della pressione e tensione sono comuni a tutti e tre i processi. Come conseguenza diretta i prodotti si sovrappongono, la ricerca e lo studio hanno il compito di distinguerli.



7.1 - MAGMATISMO
Nell'ambiente a crosta oceanica i magmi sono prodotti nel mantello, 45-200 Km. al di sotto della superficie della Terra. A causa di specifici processi che vi concentrano il calore, in un determinato settore si verifica l'aumento della temperatura fino a sciogliere la roccia del mantello superiore e a produrre il magma basaltico. Il magma fluisce verso l'alto attraverso i condotti e si raccoglie nei serbatoi pochi chilometri al di sotto della superficie. Un aumento di pressione dentro i serbatoi spinge il magma verso l'alto attraverso i condotti o le fratture per eruttarlo come lava in superficie. Un insieme di piccoli e moderati, ma improvvisi terremoti, si produce quando il magma si sposta dentro il sistema dei condotti che partono alla superficie della Terra. Dagli studi dei vulcani nella Hawaii, tali terremoti sembrano originarsi a profondità tra i 45 e i 60 Km. al di sotto della sommità del vulcano Kilauea; quindi il magma sotto le isole hawaiane è probabilmente generato a circa questa profondità. Le associazioni plutoniche sono quelle in cui il magma è primariamente prodotto dalla parziale fusione della crosta terrestre. Rocce di tale associazione cristallizzano sotto la superficie della Terra e sono prevalentemente di composizione granitica; si trovano solo nelle aree continentali dove sono frequentemente associate a zone orogenetiche.


Nell'ambiente di litosfera continentale il magma sembra essere generato nella crosta a 25-50 Km al di sotto della superficie della Terra e a varie profondità all'interno del mantello superiore.


La fusione di vari tipi di roccia nella crosta oltre alla possibilità di fusione simultanea di rocce basiche nel mantello sottostante porta alla produzione di magmi con composizione chimica largamente differente. I tipi principali di magma ( granitico, basaltico, andesitico) vengono prodotti in grandi quantità nella crosta continentale. Se questi vengono eruttati in superficie come lave, formano basalto, andesite e riolite; se raffreddano lentamente all'interno della Terra corrispondentemente formano gabbro, diorite e granito.


Mentre i magmi basaltici si originano all'interno del mantello superiore e si espandono come grandi masse laviche, i magmi andesitici molto probabilmente si sviluppano nella parte più bassa della crosta e nella parte più alta del mantello, ed eruttano formando grandi vulcani composti. Le lave riolitiche derivano probabilmente da serbatoi di magma granitico che si differenzia a livelli più alti della crosta e produce eruzioni in superficie di grandi coltri di cenere. Le masse di magma granitico viscoso formano grandi batoliti profondi all'interno della crosta continentale. Le tensioni fratturano le rocce al di sopra dei batoliti permettendo la risalita del magma granitico nel serbatoio superficiale che forma un centro per le eruzioni di ceneri vulcaniche.


Origine dei magmi
Sulla Terra si produrrebbero molti graniti e poche rioliti, molti basalti e pochi gabbri: il magma felsico (granitico), ricco di silice si arresta a livelli più o meno profondi senza mai poter raggiungere la superficie; al contrario il magma mafico raggiunge quasi sempre la superficie.


La spiegazione di questo diverso comportamento dei magmi silicei e di quelli mafici (poveri di silice) sta nella loro diversa temperatura di solidificazione. Le temperature di solidificazione del magma granitico aumentano quando diminuisce la pressione, il contrario avviene invece per quelle del solidus basaltico. Il magma granitico perciò, salendo verso la superficie, solidifica totalmente, a seconda del contenuto in acqua, tra i 10 km e i 2 km di profondità; quello basaltico invece, che parte già con una temperatura più elevata, non può solidificare salendo verso la superficie per cui mantenendo la sua fluidità può effondere all'esterno. Dati sperimentali hanno mostrato che i minerali più ricchi di silice fondono a circa 700 °C. Perciò quando nella crosta, a causa del gradiente geotermico, si raggiungono i 700 °C, e questo avviene a 30-40 km di profondità, le rocce fondono parzialmente originando un magma granitico. Questo fenomeno di fusione generale delle rocce è chiamato anatessi ed i graniti che ne derivano sono detti graniti anatettici . La controversia sull'origine dei graniti è tuttora in atto; praticamente vi sono due correnti di pensiero: l'una sostiene che i graniti siano rocce magmatiche, l'altra sostiene che i graniti siano formati in situ per alterazioni di rocce preesistenti in seguito ad un processo di super metamorfismo (processo di granitizzazione). Questi graniti sono considerati come risultanti dalla fusione parziale di rocce preesistenti nella crosta continentale.


Per concludere, il magma granitico nasce nella crosta terrestre o deriva da una rigenerazione in situ di rocce già esistenti e può essere visto come una forma evoluta del metamorfismo di altre rocce. Il magma basaltico invece è il risultato della fusione di peridotiti ed eclogiti, rocce granulari stabili alle alte pressioni e tipiche del mantello e della transizione crosta-mantello salendo direttamente alla superficie terrestre. Il diverso grado di fusione di tali rocce genera magmi basaltici di composizione diversa.

COSA SONO LE ROCCE IGNEE ?
Le rocce ignee (dal latino ignis = fuoco) dette anche magmatiche o eruttive nel loro complesso si formano per raffreddamento delle masse fuse (magma o lava) prima descritte. Se tale massa trabocca sulla superficie terrestre (LAVA) dà luogo alle rocce vulcaniche o effusive se invece stagna all'interno della crosta (MAGMA), consolidandosi per lento raffreddamento, produce le rocce plutoniche o intrusive. COME SI CLASSIFICANO LE ROCCE IGNEE ? Vengono usati due parametri fondamentali: la tessitura e il chimismo. Il termine tessitura include differenti aspetti come " Dimensioni dei cristalli che costituiscono le rocce ignee; " Presenza o no di vescicole (tessitura vescicolare) che sono i segni di bollicine di gas nella lava quando va raffreddandosi; " Presenza di una massa di cristalli o frammenti di rocce ignee cementati (tessitura piroclastica). Sulla base del tipo di tessitura le rocce ignee si possono suddividere in intrusive o effusive Intrusive (Plutoniche): fatte di grandi cristalli che indicano il lento raffreddamento legato al fatto che essi solidificano all'interno della crosta (il magma conserva a lungo i componenti volatili, vapor acqueo e gas vari che favoriscono la cristallizzazione) Effusive (Vulcaniche): fatte di piccolissimi cristalli o con tessitura vetrosa (ossidiana) che indica il raffreddamento rapidissimo perché avviene in superficie (fuoriuscita di componenti volatili, degassificazione).


Le rocce ignee sono composte sostanzialmente da pochi gruppi di minerali; quali quarzo, feldspati (ortoclasio e plagioclasi), miche (muscovite e biotite), anfiboli, pirosseni e olivina. Certi minerali, come il quarzo, sono chiari e trasparenti, altri, come i pirosseni e l'olivina, sono molto scuri, per cui, a seconda dei minerali che contengono, le rocce ignee possono risultare chiare o scure. Una prima grande suddivisione delle rocce ignee, che rifletta la loro composizione chimico-mineralogica, e quindi quella del magma originario, è perciò basata sul colore: le rocce chiare sono dette felsiche, quelle scure mafiche e quelle più scure e verdi (ultramafiche). Quelle chiare sono ricche di quarzo e feldspati (da qui il prefisso fels), mentre quelle scure sono ricche di anfiboli, pirosseni e olivina, tutti minerali a base di magnesio e ferro ( da qui il prefisso maf). Si dicono ultramafiche quelle costituite esclusivamente da pirosseni e olivina. Anche la silice (SiO2) può essere un parametro classificativo in quanto varia sistematicamente dal 70 al 40%; le rocce felsiche, molto più ricche in silice, vengono perciò dette anche siliciche (o acide). Gli stessi plagioclasi hanno una composizione variabile con sistematica continuità; nelle rocce felsiche i plagioclasi sono ricchi in sodio mentre in quelle mafiche sono ricchi in calcio. Il granito, ricco di feldspato potassico (ortoclasio) e quarzo, è la tipica roccia plutonica felsica, mentre il gabbro, privo di quarzo e composto da plagioclasi calciti, anfiboli e pirosseni, è la tipica roccia plutonica mafica. Pirosseni e olivina sono i più importanti minerali delle rocce ultramafiche; tra queste ultime la peridotite è dominata da olivina e pirosseno, la dunite della sola olivina.
 


  7.1.1 - Come Si Forma il Magma?
Il magma si forma da rocce fuse. Dal momento che le rocce sono fatte da differenti minerali che hanno punti di fusione a diverse temperature le rocce non fondono uniformemente. Così avremo minerali che formano un fuso ed altri che rimangono solidi. Il fenomeno è chiamato Fusione Parziale. Le temperature di fusione sono condizionate dalla pressione e dalla presenza di acqua. Le alte pressioni aumentano la temperatura di fusione mentre la presenza di H2O diminuisce il punto di fusione

DIFFERENZIAZIONE MAGMATICA
E' il fenomeno per cui ad una fusione parziale corrisponde un raffreddamento parziale. Partendo da un magma totalmente fuso i minerali che raffreddano alle più alte temperature, raffreddano per primi e così facendo privano il fuso di certi ioni cambiando, perciò, il contenuto chimico del rimanente materiale fuso. Quindi, man mano che il residuo fuso raffredda si formano sempre più cristalli alle loro temperature con il conseguente cambiamento del chimismo del fuso residuo. Questo processo continua fino alla solidificazione di tutto il magma.


Gli esperimenti di laboratorio mostrano che ci sono due diversi processi nella Differenziazione Magmatica. La cristallizzazione avviene per A) Reazioni continue. B) Reazioni discontinue Nel 1° caso i cristalli reagiscono con il fuso residuale per dare nuovi composti in modo che in ogni fase della cristallizzazione tutti i cristalli presenti abbiano la stessa composizione. Ad es. nei Plagioclasi (miscele isomorfe) i primi cristalli sono ricchi in Anortite. La loro formazione impoverisce il fuso originario che diventa acido dando luogo all'Albite (povera in calcio e ricca in sodio). Nel caso delle Reazioni discontinue in cui esiste un ordine di cristallizzazione (Olivina, Pirosseni, Anfiboli) che dà origine alla differenziazione. Le reazioni avvengono tra minerali di due composizioni definite e ad una temperatura definita, invece che lungo un intervallo continuo di composizione e temperatura come avviene nel caso delle Reazioni continue. Nella figura collegata le serie di reazione sono disposte con temperatura decrescente verso il basso. A sinistra la serie relativa ai minerali femici, che, passando da una serie all'altra non danno miscele isomorfe ("serie discontinua"). A destra la "serie continua", relativa ai plagioclasi (miscele isomorfe di anortite e albite). All'estrema destra sono rappresentati gli intervalli entro i quali cristallizzano alcuni dei principali gruppi di rocce ignee, di ciascuno dei quali i termini effusivi sono indicati tra parentesi. Si noti che l'alterabilità dei minerali è direttamente proporzionale alla temperatura alla quale cristallizzano.


La trattazione di questi argomenti è qui solo delineata. Non esiste comunque una conoscenza completa sul funzionamento della differenziazione magmatica.


  7.1.2 - Giaciture Intrusive
Le rocce dell'associazione plutonica si formano in profondità; per questo quando noi consideriamo la loro origine, dobbiamo avere dettagli non soltanto sulla loro composizione e tessitura, ma anche sulla forma delle masse nelle quali si presentano. Informazioni sulla forma e la giacitura dei corpi granitici vengono dalle osservazioni di campagna. Le masse granitiche che si formano nelle zone di subduzione di crosta oceanica al di sotto della crosta continentale in genere possono avere: a) contatti concordanti con le rocce che le contengono b) contatti discordanti c) contatti non chiaramente decifrabili Alla prima categoria appartengono filoni e sills, alla seconda i laccoliti, alla terza i batoliti.


Per queste masse di graniti nasce il problema di sapere se essi sono stati messi in posto come magmi, o se si sono formati nello stesso posto (in situ). In tutti i casi in cui ci sono contatti discordanti, il materiale granitico deve essere stato messo in posto in rocce più antiche (iniettato). Questa è la prova evidente che le rocce originarie che le contengono sono state deformate. Le masse concordanti invece possono essere state formate da iniezioni granitiche. Dove ci sono poche evidenze in favore di una iniezione di un granito ed esiste una concordanza di contatti, si può parlare di graniti formatisi in posto. Una serie di dati provenienti da varie indagini suggerisce che masse granitiche (estese oltre i 1000 Kmq.) sono state trovate soltanto all'interno della crosta continentale e sono usualmente associate alle zone orogeniche. Le masse fuse prodotte, a causa della loro densità più bassa, possono salire verso l'alto attraverso le rocce soprastanti, per un processo di un'intrusione diapirica e fermarsi vicino alla superficie.


  7.1.3 - Giaciture effusive
Le manifestazioni superficiali dell'attività ignea prendono il nome di attività vulcanica. Durante questa attività i materiali solidi, liquidi e gassosi che formano il magma fuoriescono e costruiscono edifici rocciosi di forma varia che si chiamano VULCANI. I vulcani hanno generalmente una forma conica si trovano sia sui continenti che nei fondali marini e sono alimentati da un serbatoio magmatico che si trova a qualche km. di profondità al di sotto di essi.
 
Camera magmatica
Noi sappiamo che i basalti e le andesiti sono generati all'interno del mantello terrestre. Comunque sotto l'apertura più centrale di alcuni vulcani sembra che ci sia una camera dove il magma viene accumulato tra un'eruzione e l'altra e che, finita l'eruzione, viene riempita nuovamente da sotto. Le erosioni profonde delle strutture vulcaniche hanno indicato la loro presenza all'interno del cono o al più circa 5 Km sotto la sommità.
 
 Sappiamo che i magmi originari possono provenire dal mantello tra 75 e 250 km. di profondità (magma basaltico) oppure da minore profondità dove si è avuta la rifusione della crosta (magma granitico). La risalita del magma avviene dove la crosta è rotta o meno resistente lungo fenditure che si chiamano faglie. Il magma sale perché schiacciato (spremuto) dalle rocce soprastanti. Parte di esso dopo aver sostato nella camera magmatica arriva alla superficie e può eruttare sotto forma di lava o essere lanciato violentemente verso l'alto formando ceneri e lapilli (piroclasti).


  7.1.4 - I prodotti dell'attività vulcanica
I prodotti dell'attività vulcanica sono gas, lave e materiali piroclastici che rappresentano le fasi gassosa, fluida e solida.


   7.1.4.1 - Piroclastiti
La particelle solide (piroclasti) quando sono eruttate da un vulcano passano attraverso l'aria e ritornano a terra, per disporsi in strati molto somiglianti a quelli che i sedimenti formano sul fondo del mare. Le rocce piroclastiche, a differenza delle altre rocce sedimentarie non sono quindi formate per erosione, trasporto e sedimentazione, e , mentre le rocce ignee sono allo stato cristallino, le rocce piroclastiche possono essere studiate con i metodi usati per le rocce clastiche ed infatti sono state classificate in relazione alle loro dimensioni:
Diametro delle particelle           Prodotti vulcanici                    Rocce finali
< 4 mm                                   cenere                               tufi vulcanici
4 - 32 mm                                 lapilli                                  tufi lapillici
> 32 mm                             bombe e blocchi                   agglomerati vulcanici



   7.1.4.2 - Rioliti e Pomice (fase fluida)
I fluidi basaltici raffreddando costituiscono la gran lunga delle rocce eruttive. Tra le rocce vulcaniche a composizione granitica ci sono le Rioliti. I fluidi viscosi di composizione riolitica vengono emessi in forma di colonne o cupole che raggiungono la superficie e fluiscono come una pasta dentifricia che esca dal suo tubo. Ciò avviene quando il contenuto di acqua nel magma è basso. Se il contenuto in acqua è abbastanza elevato, tutta la massa fusa viene convertita in una massa spumeggiante poiché l'acqua si è trasformata in vapore formando bolle gassose. L'analogia tra questo processo e una bottiglia di birra agitata vigorosamente e poi aperta è evidente. La roccia formatasi in questo modo è la pomice. Di solito ciò che sembra avvenire è che la massa spumeggiante si forma nel condotto fino a che si raggiunge lo stadio in cui la pressione nel vulcano diventa elevata e la massa viene eiettata esplosivamente, raffreddando rapidamente e diventando pomice. Questo tipo di attività è conosciuta come una tra le più violente, e la pomice eruttata può coprire aree molto vaste quando essa ricade sulla terra.

Il rapporto tra le varie fasi dipende dalla viscosità della massa fusa e dalle condizioni del luogo di eruzione.




   7.1.4.3 - Viscosità
E' particolarmente importante nello studio delle rocce vulcaniche considerare la viscosità di una massa fusa. La viscosità di una massa fusa è in rapporto al suo contenuto in silice, più essa è ricca in silice, più è viscosa. Per es.: un liquido basaltico, con un contenuto in silice del 45%, avrà una viscosità minore rispetto a un liquido granitico con un contenuto in silice del 70%. Naturalmente vi sono fattori che modificano queste semplici relazioni; per esempio, tutte le masse silicatiche diventano più viscose se raffreddano, meno viscose se ricche di gas vulcanici. Questo, comunque, non altera molto il principale rapporto viscosità-composizione.
 
Tra i gas prevale il vapor acqueo (i pennacchi di fumo dei vulcani); le lave formano colate a superficie liscia (lave a corde) o a cuscino; i prodotti solidi a volte possono scivolare sui fianchi del vulcano formando le colate piroclastiche (nubi ardenti della Pelée) o espandersi con il vapore acqueo formando le ondate piroclastiche. L'attività vulcanica si distingue in base alla sua durata in persistente (vedi Etna, Stromboli) o parossistica.

 


   7.1.4.4 - Nubi ardenti
Lo stesso meccanismo che porta alla formazione della pomice si ha quando la massa spumeggiate che si espande viene violentemente lanciata nell'aria come una nuvola composta da gas caldi, frammenti minuti di roccia ancora incandescente costituite in piccole schegge, o particelle di massa fusa che rapidamente si vanno raffreddando e pezzi di pomice. Questa nuvola è molto calda; i gas e le particelle di roccia hanno una temperatura di circa 800°C. Nessuna eruzione che produca esattamente questo tipo di nuvola è stata mai vista dagli osservatori scientifici, ma probabilmente se ne ebbe una in Alaska nel 1912. Nell'isola della Martinica, nel 1902, fu osservato un fenomeno del genere. Questa così detta "Nube Ardente" consisteva di enormi blocchi che precedentemente avevano bloccato il condotto vulcanico, con abbondanti gas e frammenti di pomice (dito della Peleé). I prodotti dell'eruzione di una nube ardente sono un miscuglio di particelle grandi e piccole, mentre una nuvola vulcanica di particelle fini dà luogo ad una roccia compatta, chiamata ignimbrite (dal latino "nuvola di fuoco"). Le ignimbriti sono dure e compatte. Questo è il risultato della "saldatura" dei frammenti caldi, esercitata dalla pressione dei materiali soprastanti.



  7.1.5 - Forme di eruzione
Le principali eruzioni sono centrali e lineari; le prime hanno una sorgente puntiforme di magma che sale attraverso un condotto o camino vulcanico venendo in superficie; le seconde si formano perché le lave escono da fessure lunghe e strette della crosta terrestre e si espandono in superficie. Le eruzioni centrali formano i classici edifici (vulcani) conici. Le eruzioni lineari formano i tavolati (plateau) basaltici sui continenti e le dorsali medio oceaniche in fondo al mare.





In relazione ai caratteri di fluidità (ricchezza di minerali basici), o viscosità (ricchezza in Silice) si hanno tipi diversi di edifici vulcanici.

 
 
  1. vulcani a scudo con pendii poco ripidi (lave fluide); esempi sono quelli hawaiani tra cui il Mauna Loa (4 km) che ha la base in fondo all'oceano ed è complessivamente alto 10 km.
  2. Con lava più viscosa (silicica) si originano le cupole di ristagno e le guglie (vedi il vulcano della Pelée, Martinica).
  3. Se si ha una eruzione di tipo esplosivo si formano i coni di cenere.
  4. Se si ha un'alternanza di eruzione di lave e di piroclasti si forma un vulcano-strato o vulcani composti (Vesuvio, Etna Stromboli). Nei Vulcani la zona centrale apicale può subire modificazioni ad esempio per collasso o per esplosione della parte sommitale. Si formano così le caldere che sono grandi depressioni spesso occupate da un lago o dal mare.
     


  7.1.6 - Manifestazioni gassose
I gas vulcanici (CO2, NO, H2S, etc.) vengono studiati direttamente all'interno dei crateri anche per capire come da essi si siano originati l'atmosfera e gli oceani nei tempi primordiali. Come prima detto il principale componente dei gas è l'H2O. Vapor acqueo si è liberato ad esempio nella esplosione del Paricutin (Messico) che emise 18 mila tonnellate d'acqua in un solo giorno procurando un'immane distruzione. Le ultime fasi dell'attività vulcanica consistono nell'emissione di vapori (fumarole solfatare e sorgenti termali). Famose le solfatare di Pozzuoli.

  7.1.7 - Rischio vulcanico
Un esempio di rischio vulcanico si può ricavare dalla vicenda del Vesuvio in cui si verificò un'esplosione che distrusse Ercolano e Pompei nel 79 d.C. In questa occasione si formò una vasta caldera ancora oggi riconoscibile. L'eruzione fu descritta da Plinio il Giovane nelle sue lettere a Tacito con tanta accuratezza che da allora queste eruzioni vengono chiamate di tipo Pliniano. L'eruzione dovette essere inattesa. Il vulcano era ricoperto da vigneti ed alberi ed ai suoi piedi erano state costruite Ercolano e Pompei. Malgrado ci fosse stato un violento terremoto 16 anni prima ed attività sismica nessuno capì che questi erano segnali premonitori. La stessa tragedia potrebbe avvenire oggi sul Vesuvio alle cui pendici abitano 1 milione di persone.

 


7.2 - METAMORFISMO
Le rocce ignee e sedimentarie, quando sono surriscaldate o compresse dentro la Terra, possono trasformarsi lentamente in altre rocce, dette metamorfiche. Si definisce metamorfismo un cambiamento solido-solido della composizione mineralogica e/o della struttura di una qualsiasi roccia preesistente che avviene, senza passare attraverso la fusione di quest'ultima, sotto il controllo della T e P (fattori termodinamici) e di fluidi circolanti. Ad esempio in un calcare puro (composto cioè unicamente da calcite) avente grana fine, per aumento di T la calcite può ricristallizzare in individui a grana grossa, originando una roccia metamorfica, detta marmo, che ha la stessa composizione di quella di partenza, ma struttura diversa. I vari fenomeni che presiedono a queste trasformazioni, i cui fattori di controllo sono la temperatura e pressione, vanno sotto il termine generale di metamorfismo. Le rocce metamorfiche sono assai comuni nella crosta terrestre; esse costituiscono larga parte dei continenti e sono presenti al di sotto delle catene montuose. A seconda dell'importanza che assumono la temperatura e la pressione, si distinguono tre principali tipi di metamorfismo (di contatto, cataclastico e regionale). Il metamorfismo di contatto si realizza nelle immediate vicinanze di una massa magmatica e si identifica con l'effetto termico prodotto sulle rocce incassanti dal magma incandescente. Si tratta in definitiva di una "cottura"; spariscono i minerali più labili, se ne formano di nuovi e la roccia, nel suo insieme, assume una grana più grossolana. Il metamorfismo cataclastico o dinamico è legato solamente alla pressione e si localizza in corrispondenza di fratture (faglie), dove la roccia viene schiacciata e a volte ridotta in frantumi (MILONITI). Durante tutto il processo metamorfico cataclastico la composizione mineralogica della roccia originaria rimane inalterata. La gran parte delle rocce metamorfiche deriva da processi a scala regionale in cui sia la temperatura che la pressione giocano un ruolo preminente. Queste rocce sono prodotte dal metamorfismo regionale che, assieme ai batoliti granitici, è tipico nelle radici delle catene montuose profondamente erose e intensamente ripiegate.

  7.2.1 - Come Si Studiano Le Rocce Metamorfiche: Struttura e Tessitura
Nel metamorfismo di contatto la principale e più caratteristica struttura delle rocce metamorfiche è la foliazione . Essa consiste in una suddivisione delle rocce in piani più o meno paralleli ed è il risultato di deformazioni meccaniche e stiramenti sotto enormi pressioni.


La foliazione, che non va confusa con la stratificazione delle rocce sedimentarie, assume aspetti diversi (e quindi anche nomi diversi) a seconda della roccia coinvolta; in quelle fini la foliazione è detta fissilità o clivaggio, in quelle più granulari viene chiamata scistosità. Il metamorfismo di contatto non deforma, quindi non produce foliazione. Le rocce che ne derivano sono omogenee e cristalline e si chiamano hornfels. Il metamorfismo cataclastico origina brecce di frizione, miloniti (poltiglia litificata) e i caratteristici gneiss occhiadini, in cui gli "occhi" sono grandi cristalli formatisi durante il processo metamorfico, allo stato solido, e successivamente stirati e abrasi. Molti minerali si formano soltanto in ben determinate condizioni di temperatura e pressione; essi perciò possono essere usati sia come geotermometri sia come misuratori di pressione permettendo ai geologi di ricostruire le condizioni di temperatura e pressione in cui le rocce metamorfiche si formarono e di definire zone o fasce a vari gradi di metamorfismo, dal meno intenso al più spinto. Ognuna di queste zone è caratterizzata dalla presenza di specifici minerali, detti minerali indice. La progressione metamorfica, cioè i minerali e le rocce che si formano ai vari stadi del metamorfismo, è in parte determinata dalla composizione chimica e mineralogica della roccia di partenza. Nel caso si sottopongano a metamorfismo crescente delle rocce sedimentarie argillose, i minerali indice che caratterizzano i gradi metamorfici via via più elevati sono clorite, biotite, granato, staurolite, cianite e sillimanite (figura A). Se invece sottoponiamo a metamorfismo crescente un basalto si formano dapprima le zeoliti, poi epidoto, orneblenda, granato e pirosseno (figura B).


Le rocce metamorfiche che via via si formano durante queste progressioni sono gli scisti verdi nel basso grado, le anfiboliti nel grado intermedio e le granuliti pirosseniche nell'alto grado. A pressione assai elevata e temperatura relativamente bassa si formano gli scisti blu. Infine, a pressione estremamente elevate ad alte temperature si formano le eclogiti che molti geologi ritengono tipiche del mantello terrestre. La tabella mostra i principali tipi di rocce metamorfiche in rapporto alle condizioni di temperatura e pressione e chimismo della roccia originaria che governano la loro genesi.
 


7.3 - DEFORMAZIONE
Abbiamo già visto che le rocce sedimentarie si formano per la maggior parte come masse stratificate disposte pressoché orizzontalmente. Eppure è facile osservarle oggi piegate, o fratturate, cioè, in una parola, deformate. Le deformazioni, quali le pieghe e le fratture, sono dette strutture tettoniche, dal termine Tettonica (dal gr.: arte del costruire) che indica la disciplina che le studia. Strutture tettoniche spettacolari appaiono con evidenza nelle catene montuose, ma possono esistere anche in aree a morfologia pianeggiante o sul fondo degli oceani.

  7.3.1 - Come di Deformano le Rocce
Fratture e pieghe sono le più comuni forme di deformazione delle rocce della crosta terrestre. Ma com'è possibile che materiali così duri e rigidi possano essere piegati e distorti come se si trattasse di sostanze tenere e flessibili? Le rocce, come molti materiali, possono essere distinte in fragili e duttili. Quando si cerca di deformare un materiale fragile, oltre un certo limite esso si rompe; le sostanze duttili (flessibili) al contrario, prima di rompersi sono in grado di subire sensibili deformazioni plastiche. Il comportamento, fragile e duttile, di un certo materiale dipende però in larga misura dalla pressione e dalla temperatura. Una roccia situata a una certa profondità nella crosta, ad esempio, è sottoposta ad un'enorme pressione di carico da parte delle rocce che le stanno sopra, ma questa pressione non è unidirezionale, cioè non è diretta dall'alto in basso; essa si esplica tutt'attorno al nostro campione che viene compresso da tutte le direzioni (pressione litostatica). Tutte le rocce che a pressione atmosferica mostrano un comportamento fragile e si fratturano, una volta superato un certo limite minimo di pressione litostatica, aumentano sensibilmente il campo della loro deformazione plastica. La figura collegata mostra i risultati di un ben noto esperimento: un cilindro di marmo sottoposto in laboratorio a crescenti compressioni triassiali. A basse pressioni, che simulano debole profondità della crosta terrestre, il cilindro cede fratturandosi; ad alte pressioni il cilindro di marmo si deforma plasticamente <>.


Quando si analizzano le deformazioni delle rocce, un fattore addizionale, molto importante da considerare, è il tempo. Le forze che deformano le rocce agiscono per milioni di anni per cui si ha comportamento plastico anche a limiti molto inferiori e questo è ancor più vero se le rocce sono calde o contengono fasi idrate.


  7.3.2 - Le Faglie
Quando una massa rocciosa si frattura subisce una deformazione che viene detta discontinua perché lungo la rottura punti della massa rocciosa stessa originariamente contigui non sono più in contatto tra loro. Le rotture che possono prodursi nelle rocce sono di due tipi:
  • " Fratture (o fenditure) senza spostamento, dette litoclasi o, se di dimensioni relativamente modeste, diaclasi.
  • Fratture con scivolamento dei due blocchi (o di uno solo di essi) lungo il piano di rottura: sono dette faglie e sono di gran lunga le più importanti.

Con il termine di "faglia" si intende dunque una frattura in una massa rocciosa, ai lati della quale siano avvenuti scorrimenti che hanno spostato, l'uno rispetto all'altro, i blocchi situati da bande opposte della superficie di frattura. In una sezione naturale, come può essere una parete rocciosa nuda, questa dislocazione può presentarsi come nella figura connessa e l'entità dello spostamento può essere minima ma anche grandissima (fino a qualche migliaio di metri).


Nel caso di spostamento molto piccolo, il fatto è pressochè trascurabile agli effetti dello studio strutturale di una regione; quando invece lo spostamento è notevole, occorre considerarne attentamente tutti gli aspetti. Cerchiamo ora di vedere la faglia come entità geometrica nello spazio a tre dimensioni. Immaginiamo un blocco di strati e lo spostamento lungo un piano di frattura. Il movimento è quello rappresentato nella figura connessa.


Non dobbiamo pensare però che questa spiegazione del movimento, essendo la più semplice, corrisponde sempre a realtà. Uno stesso dislivello di strati in due labbri di una faglia può essere originato da movimenti differenti. In altre parole quando noi osserviamo la sezione di una faglia, il dislivello degli strati non ci esprime il movimento, ma in generale la proiezione del movimento sul piano della sezione, cioè una componente del movimento stesso.


Lo spostamento tra due punti omologhi nei due labbri di una faglia si chiama rigetto, e si può misurare perpendicolarmente ai piani di stratificazione. Nel caso degli strati orizzontali il rigetto rappresenta la componente verticale del movimento (retta a nella figura connessa).


Il rigetto è una misura che vale per un determinato punto della faglia: avrà un valore massimo che degraderà fino ad annullarsi nel punto in cui la faglia termina (fig. connessa A), oppure potrà anche avere un valore costante per tutta la lunghezza della faglia, se quest'ultima finisce bruscamente entro un'altra faglia, (fig. B)


Altro elemento della faglia è dunque la sua lunghezza. Negli esempi considerati il piano di faglia forma un certo angolo con i piani di stratificazione; questo è un altro elemento variabile. Immaginiamo di potere osservare le faglie con una certa inclinazione (figura); la massa rocciosa che si trova sopra il piano di faglia viene indicata come tetto (A e C); mentre la faccia al di sotto come letto o muro (B e D).



   7.3.2.1 - Come si classificano le faglie

La classificazione di gran lunga più seguita è quella basata sul criterio genetico. Osservando la figura precedente, si può vedere che, negli ultimi stereogrammi C e D il tetto è abbassato rispetto al letto, al contrario degli stereogrammi A e B, dove il tetto è invece sollevato rispetto al letto stesso. Le dislocazioni rappresentate in C e D si dicono faglie dirette o normali; quelle in A e B si dicono faglie inverse. Tra i due tipi esiste una differenza sostanziale; basta pensare, riferendoci al blocco di strati rappresentato nella B della figura connessa, che dopo la faglia diretta esso risulta allungato (A) mentre in C, nel caso della faglia inversa, risulta raccorciato.




Possiamo quindi dire che la faglia diretta rappresenta una distensione; la faglia inversa una compressione, un raccorciamento. Nei due tipi di faglie ora descritti, la componente principale del movimento è verticale. Esiste un terzo tipo di faglie in cui la componente principale del movimento è orizzontale (parallelo alla direzione del piano di faglia): sono queste le faglie trascorrenti. Le faglie trascorrenti, a seconda del movimento relativo dei due blocchi separati dal piano di faglia, si possono suddividere in destre e sinistre.


La natura delle faglie trascorrenti può essere apprezzata immaginando una persona su uno dei blocchi, con lo sguardo rivolto verso il piano di faglia, osservare il movimento del blocco opposto; se lo spostamento di quest'ultimo è verso destra la faglia sarà a destra. Ovviamente trattandosi di movimenti relativi, il senso del movimento non cambia se l'osservatore si sposta da un blocco all'altro. Abbiamo visto che esistono sui fondi oceanici altre faglie a prevalente movimento orizzontale (faglie trasformi) il cui meccanismo di formazione e il significato cinematico differiscono però da quello delle faglie trascorrenti.
Esempi di piani di faglia
Spesso l'attrito ha prodotto una perfette lisciatura del piano ("specchio di faglia"), sul quale si possono osservare striature che indicano il movimento relativo.


Da entrambe le parti del piano di faglia possono essere presenti caratteristiche uncinature delle superfici preesistenti, dalle quali pure può essere ricavato il senso di movimento relativo, e fenditure di tensione, spesso mineralizzate e per lo più disposte in modo da formare un angolo attorno ai 45° con il piano di faglia. Il piano di faglia può corrispondere ad una zona di faglia o di frizione, nell'ambito della quale quella che può essere definita come faglia principale è accompagnata da altre faglie secondarie, aventi la stessa direzione ma rigetto inferiore.


   7.3.2.2 - Dimensioni delle faglie e periodo di funzionamento
Assimilabili a superfici piane, le faglie hanno due dimensioni: la lunghezza, osservabile sulla superficie terrestre, e la profondità. Entrambe queste misure possono avere valori assai variabili, da alcuni decimetri a centinaia di chilometri (vedi faglia di S. Andreas).


Per rendersi conto dello sviluppo in lunghezza di alcune faglie è sufficiente considerare i grandi sistemi di fosse tettoniche, legati a faglie normali, le gigantesche faglie trascorrenti e le zone di subduzione allungate migliaia di chilometri che possono essere considerate , sotto molti aspetti, come faglie inverse. La profondità massima delle faglie è invece decisamente minore: anche nei casi più imponenti, esse non superano generalmente lo spessore della litosfera (un centinaio di chilometri) perchè crescendo la profondità, le rocce tendono a deformarsi plasticamente. Comportamenti fragili sono tuttavia segnalati dalla sismologia in corrispondenza delle zone di subduzione anche fino a 700 km di profondità.


   7.3.2.3 - Criteri per riconoscere le Faglie
I criteri per individuare le faglie sono numerosi. Anzitutto, se le faglie sono recenti e, ancor oggi attive (sono così definite quelle che hanno avuto movimenti almeno una volta negli ultimi 35.000 anni o più volte negli ultimi 500.000), vi sono i criteri fisiografici (scarpate, spostamenti di alvei o di spartiacque, allineamenti di selle, di sorgenti, ecc.).
Tra le faglie attive, quelle sismogenetiche (cioè capaci di generare terremoti) possono essere evidenziate anche sulla base dell'allineamento degli epicentri dei sismi. Il criterio più ovvio è quello della brusca discontinuità che interviene nei terreni da una parte e dall'altra del piano di faglia. Spesso, specialmente in rocce stratificate, le faglie possono determinare in superficie una ripetizione o, al contrario, una mancanza in una successione dei terreni. Infine, ha ovviamente particolare importanza il piano di faglia, che tuttavia non è sempre esposto all'osservazione diretta e, comunque, lo è generalmente per brevi tratti rispetto alla sua estensione.


  7.3.3 - Le Pieghe
La piega è il tipo di deformazione più comune nelle rocce stratificate sottoposte a compressione. Senza entrare nel complesso problema delle modalità di formazione di una piega, forniamo subito alcuni elementi atti a procedere ad una rapida individuazione e descrizione di queste deformazioni. L'anticlinale è una piega semplice in cui il nucleo, e cioè la parte concava, è costituito dai terreni più antichi (a); la sinclinale è quella il cui nucleo è costituito da terreni più recenti (b).


Queste definizioni valgono soltanto per pieghe semplici. In particolari condizioni di complicazione il nucleo di una forma convessa verso l'alto può essere costituito dai terreni più recenti e viceversa, al nucleo di una forma concava verso l'alto si possono trovare i terreni più antichi. Ciò avviene se le pieghe coinvolgono un pacco di strati originariamente rovesciati.


In una piega si chiama cerniera la zona dove la curvatura degli strati appare massima; fianchi (o gambe) si dicono i due versanti degli strati che convergono nelle cerniere. Su una superficie piegata la linea che unisce i punti di massima curvatura si dice linea di cerniera. In un pacco di strati piegati la superficie che contiene tutti i punti di massima curvatura degli strati si dice superficie assiale; se essa è piana si parlerà invece di piano assiale. Nei casi semplici l'intersezione della superficie assiale con una superficie di strato può essere considerata come asse di una piega e rappresentarne la direzione d'allungamento. E' evidente che in questi casi linea di cerniera e asse della piega coincidono.


Sulla base dei caratteri geometrici ora descritti, è già possibile raggruppare le pieghe in diversi tipi. Il tipo più semplice di piega è la flessura o monoclinale, rappresentata da una improvvisa piegatura, a immersione unica, che raccorda due pacchi di rocce stratificate ad andamento piano. Gli strati in una flessura possono avere lieve pendenza,


ma possono anche essere raddrizzati fino alla verticale e anche piegati oltre la verticale stessa. In questi casi si parlerà di pieghe a ginocchio.


A secondo della posizione del piano assiale le pieghe si possono suddividere in simmetriche e asimmetriche. Si definisce piega simmetrica quella in cui la superficie assiale è un piano di simmetria della piega.


Negli altri casi le pieghe si indicano come asimmetriche: in genere, in misura più o meno accentuata, il piano assiale è inclinato.


Se il fianco più ripido oltrepassa la verticale si ha una piega rovesciata;


se il piano assiale è suborizzontale la piega si dice coricata.


Per tutte le pieghe asimmetriche il senso di rovesciamento della struttura (cioè il lato opposto all'immersione della superficie assiale) viene indicato come vergenza della piega. Continuando questa classificazione basata sulla forma geometrica di una superficie ideale, si potranno distinguere


- pieghe isoclinali, quando i due fianchi della piega sono tra loro paralleli; - pieghe a ventaglio, quando i fianchi convergono verso il nucleo della piega stessa; - pieghe a scatola, con fianchi subverticali e due cerniere che delimitano una zona piatta.


   7.3.3.1 - Pieghe-Faglie
Sotto spinte tangenziali sempre più intense, le pieghe rovesciate evolvono nelle pieghe-faglie, in cui il fianco intermedio, che raccorda l'anticlinale alla sinclinale adiacente, si è andato stirando sempre più, fino a rompersi.


A questo punto un'ulteriore compressione conduce alla formazione di una faglia inversa a piano suborizzontale che abbiamo chiamato sovrascorrimento o accavallamento.


La formazione degli accavallamenti, e cioè di movimenti compressivi lungo piani relativamente poco inclinati, non sempre evolve da iniziali pieghe rovesciate. Quando le rocce si sono comportate con notevole rigidità, le faglie inverse hanno la superficie di scorrimento molto più ravvicinata alla verticale ed in questo caso si usa spesso parlare di scaglie tettoniche.





   7.3.3.2 - Criteri per riconoscere le pieghe
Per le pieghe, il criterio più facile e sicuro consiste nel trovarne le cerniere.

Ciò è praticamente sempre possibile per le pieghe di dimensioni piccole e medie, tali da poter essere osservate nella loro interezza direttamente negli affioramenti. Il problema si pone per le pieghe maggiori, la cui cerniera può non essere ben esposta o, comunque, immediatamente individuabile come tale.

Nella maggior parte delle situazioni, si potrà rilevare una ripetizione di formazioni geologiche simmetriche rispetto ad una porzione centrale, consistente nel nucleo. Inoltre, se sono presenti strutture sedimentarie che indichino qual è la parte più recente della successione, si potrà anche stabilire se si tratta di un'anticlinale o di una sinclinale. Molti altri criteri, che qui non è possibile discutere, si fondano sull'osservazione di strutture tettoniche, specie di quelle a piccola scala.


  7.3.4 - Ricoprimenti
La parola ricoprimento indica una sovrapposizione anomala, per cause tettoniche, di una massa rocciosa, realmente molto estesa, su altre masse rocciose, che si realizza lungo una superficie di taglio pressoché orizzontale. Oltre che la situazione di sovrapposizione, con il termine ricoprimento si indica anche sia la traslazione che ha generato la sovrapposizione, sia la massa ricoprente; quest'ultima viene tuttavia più correttamente denominata falda di ricoprimento. Alti termini utilizzati sono alloctono ed autoctono, con cui si indicano rispettivamente la massa ricoprente e quella ricoperta. Le falde di ricoprimento possono essere definite come strutture tettoniche per piega o per faglia, mediante le quali si realizza un'ampia traslazione sub-orizzontale di una massa rocciosa di grandi dimensioni.
Un movimento della stessa entità lungo un piano inclinato, anziché sub-orizzontale, conduce infatti ad una sovrapposizione molto minore, cui si riserva il nome di accavallamento.


   7.3.4.1 - Genesi delle Falde di Ricoprimento
Il trasferimento di masse rocciose che dà luogo al ricoprimento può essere ottenuto con sollecitazioni tangenziali o sotto l'azione della forza di gravità; nei differenti casi si generano falde di forma diversa.

  7.3.5 - Giacitura delle rocce e carte geologiche

Le masse rocciose che hanno una loro definita forma geometrica tridimensionale, sono esposte raramente nella loro interezza, o perché parzialmente erose e smantellate, o perché coperte da detriti e vegetazione. Il geologo si deve perciò accontentare di parti rocciose isolate, i cosiddetti affioramenti, e da essi ricostruire l'andamento generale degli strati e delle formazioni rocciose.



Di ogni affioramento è perciò necessario conoscere la giacitura, ossia la posizione nello spazio delle formazioni rocciose che lo costituiscono. Elementi essenziali sono la direzione, l'immersione e l'inclinazione. Gli strati, i banchi rocciosi e i vari corpi geologici sono definiti e delimitati da superfici in contatto. La direzione di una qualsiasi di queste superfici è rappresentata da una retta formata dall'intersezione della superficie stessa con un piano orizzontale e si esprime con l'angolo che tale retta forma con la direzione del Nord. L'inclinazione è l'angolo che la superficie in questione forma con il piano orizzontale; essa è quindi definita da un angolo zenitale (misurato cioè su un piano verticale). Complementare alla direzione, cioè ad essa perpendicolare, è l'immersione, la linea di massima pendenza, che indica verso quale punto dell'orizzonte la superficie è inclinata; l'immersione è definita da un angolo azimutale (misurato cioè su un piano orizzontale). Direzione e immersione si misurano con la bussola da geologo nella quale è compreso il clinometro che serve a misurare l'inclinazione. Nelle carte geologiche questi elementi di giacitura vengono indicati con un segno a forma di ?, nel quale il trattino superiore indica la direzione e quello verticale l'immersione dello strato o della formazione. A volte un piccolo numero, posto lateralmente, indica i gradi d'inclinazione. Per la realizzazione di una carta geologica, il rilevatore di campagna raccoglie tutte le informazioni necessarie a descrivere le caratteristiche litologiche, giaciturali e strutturali degli affioramenti. A questo scopo il geologo fa uso di una specifica attrezzatura (bussola dotata di clinometro, lente di ingrandimento, martello per prelevare campioni da sottoporre ad analisi di laboratorio,....) ed utilizza una base topografica, scelta ad una scala opportuna, per ubicare la posizione dei dati raccolti.

La lettura della carta topografica, nella quale con il metodo delle isoipse viene rappresentata la morfologia della superficie dell'area da rilevare, permette di costruire dei modelli tridimensionali e dei profili topografici (evidenziati in viola). Le unità unità litologiche riconosciute vengono campite secondo fasce contornate dai limiti tettonici o stratigrafici. La carta geologica prodotta permetterà la ricostruzione dell'andamento nel sottosuolo dei corpi e delle strutture riconosciute in superficie attraverso la realizzazione di sezioni geologiche lungo le tracce dei profili topografici suddetti o di modelli tridimensionali. Una legenda dei simboli rappresentativi delle varie unità stratigrafiche e dei limiti integra la carta geologica.