07.4.1 - Bacini episuturali associati a subduzione b
La genesi dei bacini che si formano nei margini
attivi è stata discussa da Karig (1971, 1974); inoltre sintesi recenti sono
state pubblicate da Seely e Dickinson (1977), Toksoz e Bird (1977) e Poehls (1
978). Il modello concettuale generale e le relative terminologie vengono
illustrate nella fig. 136 che rappresenta uno schema composito basato sulle
concezioni di vari Autori.
07.4.1.1 - Bacini di avanarco
Questo tipo di bacino è stato definito da Seely e
Dickinson (1 977) e la relativa nomenclatura viene riportata nelle figg. 71 e
136. Molti tra i più recenti lavori si sono soffermati sulla formazione dei
bacini di avanarco (Auboin et al., 1982; Von Huene et ai., 1982; Lundberg,
1983). Hayes (1980) ha edito un volume con una dettagliata documentazione
sull’evoluzione dei mari marginali dell’Asia Sud-orientale; questi bacini sono
da collegare alla formazione di un complesso di subduzione.
Poiché il processo di subduzione viene spesso iniziato all’interno delle zolle
oceaniche, è possibile, secondo Seely e Dickinson (1977), che si possa trovare
crosta oceanica al di sotto dei bacini di avanarco. 11 fianco interno dei
bacini di avanarco è sovrapposto (con i suoi sedimenti in oniap) sul massiccio
dell’arco (fig. 136); il fianco esterno (che guarda verso l’oceano) viene invece
progressivamente inclinato e reso più ripido man mano che si va accrescendo la
sottostante struttura ad embrici che costituisce il complesso di accrezione (v.
l’esempio della Piattaforma delle isole Kodiak, fig. l37a, b). In prima
approssimazione sembra che la subsidenza dei bacini di avanarco sia soprattutto
una reazione tettonica nel quadro del regime di compressione cui è sottoposta
l’intera regione di avanarco; in realtà, possono anche entrare in gioco
fenomeni gravitativi (v. ad es. la sezione dell’offshore della Colombia di fig.
1 9a). Faglie listriche con «crescita» e olistostromi si rinvengono
frequentemente nelle regioni di avanarco e lungo i loro pendii instabili;
faglie di distensione sono invece dominanti nelle regioni di avanarco delle
Marianne (Hussong e Uyeda, 1978, 1982).
07.4.1.2 - Bacini di retroarco su crosta oceanica (circum Pacifici)
Le
varie ipotesi di formazione dei bacini di retroarco (o intra-arco) sono state
.esaminate da Poehls (1978). Secondo alcuni modelli il processo di subduzione
di una zolla svilupperebbe calore di frizione che causerebbe un miscelamento
del materiale del mantello seguito da una risalita del magma e dalla formazione
di una corrente convettiva secondaria dietro l’arco insulare (v. Hasebe al.,
1970 e la discussione in Sugimura e Uyeda, 1973). In altri modelli dinamici
(Toksoz e Bird, 1977) si assume che la zolla di litosfera oceanica fredda in
subduzione induca una circolazione convettiva nel cuneo di mantello soprastante
la zolla litosferica discendente (fig. 71). Gli autori postulano un modello che
prevede un intervallo di tempo da 20 a 40 MA tra l’inizio della fase di
subduzione e l’instaurarsi di un processo secondario di espansione nella zona
di retroarco. Il modello è in accordo con il graduale riscaldamento e
assottigliamento della zolla superiore. Poehls (1978) osserva che i bacini
attivi di retroarco possono formarsi soltanto dove una zolla sub- dotta può
interagire con una zolla sovrastante nella zona di retroarco. Questa situazione
si realizzerebbe dove le fosse oceaniche sono interrotte o dislocate da faglie
trascorrenti e dove si registrano grandi variazioni del tasso di subduzione.
Conseguentemente nel bacino di retroarco si forma un regime tensivo che è
dovuto alla coppia di taglio di una faglia trasforme che separa le due zolle
adiacenti. In contrasto con le ipotesi prima enunciate e seguendo Wilson e
Burke (1972), Molnar e Atwater (1978) non vedono alcun rapporto dinamico
diretto tra la subduzione e la formazione di bacini di retroarco. Essi sostengono
che l’espansione non si verifica dietro tutti gli archi e che la subduzione di
una zolla può non rappresentare una forza effettiva nel processo di apertura di
un bacino intra-arco o di retroarco. La fase di espansione nell’area dell’arco
sarebbe comune nelle situazioni in cui la zolla oceanica in subduzione abbia
una crosta più antica di 50-100 milioni di anni, mentre nei casi di subduzione
di una zolla oceanica più recente si avrebbe formazione di catene montuose di
tipo cordigliera. In conclusione i fondi dei bacini marginali si formerebbero
per processi di distensione ed espansione perché la litosfera oceanica antica,
più pesante, viene spinta verso il basso più velocemente di quanto le zolle
adiacenti possano avvicinarsi. L’espansione di interarco, secondo Moinar e
Atwater (1978), inizierebbe preferibilmente lungo una zona di debolezza
preesistente come ad esempio gli archi vulcanici. I bacini di retroarco impostati
su crosta oceanica e collegati a subduzione di tipo B sono stati classificati
da Toksoz e Bird (1977) in: 1) bacini attivi in espansione con valori elevati
di flusso di calore (Bacino delle Marianne, Bacino di Lau Havre, Mare di
Scozia; 2) bacini inattivi con alto flusso di calore (Figi Meridionali, Mare
delle Filippine Occidentali, Mare del Giappone, fig. 139); 3) bacini inattivi
maturi con normali valori di flusso di calore (Plateau delle Figi, Mare di
Okhotsk, Bacino di Parece-vela); 4) bacini parzialmente sviluppati in cui, al
basamento oceanico «catturato» che non ha ancora raggiunto la fase di
espansione, segue la formazione di un arco di isole (Mar di Bering Orientale,
forse Mar dei Caraibi). Questi bacini contengono raramente sedimenti di
notevole spessore. Tra i criteri di riconoscimento di relitti di antichi bacini
marginali vanno ricordati quelli basati sulla presenza di abbondanti depositi
vulcanoclastici e/o l’esistenza di sedimenti di mare profondo (Karig et al.,
1975; Churkin, 1974b; Hussong e Uyeda, 1978).
07.4.1.3 - Bacini di retroarco su crosta continentale o di transizione
I
bacini di retroarco che si sviluppano su crosta continentale o intermedia
collegata a subduzione B (3.1.2.2) possono essere considerati come i
precursori, temporaneamente o definitivamente abortiti, di mari marginali di
tipo bacino di retroarco. Questi bacini, ancora poco studiati ma ricchi di
idrocarburi, sono per lo più confinati in aree di mare basso e contengono
generalmente potenti successioni sedimentarie; al di sotto di essi è stata
spesso individuata un’originaria successione di rift; la massiccia subsidenza
dei bacini sarebbe legata al raffreddamento della sottostante litosfera
continentale presumibilmente riscaldata in precedenza. Gran parte dei bacini
marginali di mare basso del Pacifico Occidentale (tra cui quelli produttivi,
dal punto di vista degli idrocarburi, di Sumatra e di Giava) sono da
considerare come bacini di retroarco. Essi sono generalmente delle depressioni
allungate collocate in un’area tra l’arco vulcanico ed il cratone e giacciono
su di un basamento (che immerge verso l’oceano) costituito da rocce ignee e
metamorfiche (formatesi durante la fase iniziale della costruzione dell’arco
vulcanico (Katili, 1975; Ketner et al., 1976). Nel Pacifico occidentale ad es.,
la fase di rifting associata a questo tipo di bacino si sviluppò nell’intervallo
Paleogene-Neogene inferiore; la soprastante sequenza, successiva al
raffreddamento, si depositò nel Neogene superiore. I dati di flusso di calore
sono disomogenei, passando da valori alti a valori normali. Poche descrizioni
dettagliate di questi bacini sono state fino ad oggi pubblicate (Todd e
Pulunggono, 1971; Pulunggono, 1976; Hamilton, 1978; Ben-Avraham ed Emery, 1973;
Wageman et al., 1970).
07.4.1.4 - Altri bacini di retroarco
In
una fase continua di distensione la crosta continentale sottostante il bacino
di retroarco può aprirsi per formare segmenti oceanici; sarebbe il caso del
Mare Egeo dove affiorano blocchi continentali di età pre-neogenica collocati su
di una crosta oceanica. McKenzie (l978a) postula che la crosta continentale, che
originariamente costituiva l’Egeo, fu fortemente assottigliata offrendo così
una spiegazione dell’alto flusso di calore nell’area e delle basse velocità del
mantello superiore. Una origine simile è stata indicata per il Mare Tirreno
(Ogniben et al., 1975). I bacini della Cina Orientale coi loro sub-bacini
Sungliao, Bohai, Nan -Tsia e Jingghan presentano tutte le caratteristiche dei
bacini di retroarco, sono associati a sistemi di megafaglie (Mali et al., 1982
e Guanaming et al., 1982), giacciono su crosta assottigliata, sono limitati da
due grandiosi sistemi di taglio e sono riempiti da depositi vulcanici e
fluviali. Alcuni bacini di retro- arco sono interessati da intensi processi
orogenetici sul loro lato interno. Le strutture a pieghe e falde sono spesso
associate a faglie trascorrenti di importanza regionale che si svilupparono
contemporaneamente al (o seguirono il) piegamento (ad es. nell’area di Sumatra,
Posaveck et al., 1973, figg. 140, 141). La vergenza delle pieghe verso il
bacino marginale potrebbe corrispondere ad una chiusura (avvenuta
successivamente) dovuta a subduzione del bacino marginale stesso. Questa
tardiva subduzione dei mari marginali e le relative deformazioni dei sedimenti
possono essere interrotte per alcuni periodi durante i quali il processo di
subduzione cesserebbe del tutto. Durante questa fase si può avere un
sollevamento della zona piegata ed il seppellimento delle porzioni frontali
sotto spessi cunei di sedimenti clastici deltizi. Sappiamo molto poco sulla
dinamica dei processi che producono la scomparsa dei bacini marginali. La
conoscenza di questi fenomeni diventa però determinante per la comprensione dei
processi di formazione delle catene. Dati geologici utili a spiegare la
chiusura dei bacini marginali sono stati presentati recentemente da Churckin
(1974) e Churckin e Eberlein (1977) per la Cordigliera Occidentale, da
Scheibner (1976) per le Tasmanidi paleozoiche dell’Australia e da Biq (1976)
per le catene di Taiwan.
07.4.1.5 - Bacini di retroarco associati a collisione continentale
Un altro gruppo di bacini di retroarco è invece
associato alla fase di collisione continentale. Questi bacini che si impostano
su crosta continentale assottigliata, ed a volte su di un centro di espansione
oceanica, sono caratterizzati da alti valori di flusso di calore e da tettonica
distensiva con predominanza di faglie listriche e si trovano all’interno delle
più importanti zone trascorrenti «intramontane». Uno degli esempi più noti di
collisione è quello tra la Penisola Araba ed il Continente Europeo che causò la
formazione delle Catene Alpino-Mediterranee (Argand, 1924; Dewey et al., 1973;
Biju Duval et al., 1976, 1977). Durante e dopo la fase tardiva di questa
collisione, si formarono numerosi bacini distensivi nel tardo Paleogene-Neogene
all’interno degli archi di subduzione A. In alcuni bacini la fase di
distensione non progredì tanto da permettere l’apertura di un bacino oceanico
(bacini di tipo Pannonico, tipo 3.2.1), in altri invece la fase distensiva
portò alla formazione di un sottostante centro di «oceanizzazione» (bacini di
tipo Mediterraneo Occidentale).
07.4.1.6 - Bacini di tipo Pannonico
I bacini di retroarco in regime di distensione del Mediterraneo Orientale (Bacino Transilvanico, Bacino Pannonico, Bacino di Vienna) si sono originati nello stesso tempo. Il Bacino Pannonico, compreso tra i Carpazi, le Dinaridi e le Alpi, è sovrimposto alla Megasutura Alpina che si formò in seguito alla collisione tra il Promontorio Africano (Argand, 1924; D’Argenio et al., 1980) e la Zolla Europea. Al completamento di questa collisione continentale iniziata nel Cretaceo e sviluppatasi fino al tardo Terziario seguì la formazione di un bacino di retroarco. Molti autori hanno recentemente descritto e discusso questo tipo di bacino (Bleahu et al., 1973; Boccaletti et al., 1976; Horwath et al., 1975; Horwath e Stegena, 1977; Kutas et al., 1970, 1975). Gran parte della geologia di dettaglio è riassunta nei lavori di Paraschiv (1975) e Mahel (1974). La carta strutturale di fig. 142 illustra i sovrascorrimenti e le pieghe formatisi in un regime di subduzione A, durante il Neogene e la subsidenza simultanea di una avanfossa sul margine periferico esterno dei Carpazi. Sollogub et al. (1973) hanno dimostrato che il Bacino Pannonico giace al di sopra di una crosta assottigliata (fig. 142) ed altri Autori hanno provato l’esistenza di alti valori del flusso di calore nel bacino. La successione sedimentaria che inizia con depositi di età tardo-paleogenica è dissezionata da faglie a gradinata che testimonierebbero di un evento termico sub-litosferico. I successivi sedimenti neogenici risultano poco dislocati e depositati in un’area la cui subsidenza viene collegata al raffreddamento litosferico. Quest’ultima ipotesi è in contrasto con gli alti flussi di calore misurati ancora oggi nel Bacino Pannonico. Un’analisi dettagliata sull’origine del Bacino Pannonico è stata recentemente eseguita da Royden et al. (1983a, b) che hanno sostenuto che i singoli bacini distensivi del medio e tardo Neogene sono connessi con un sistema di megafaglie coniugate dipendenti da faglie sinistre a direzione nord-est e destre a direzione nord -ovest Queste zone di taglio sono coeve e connesse con i sovrascorrimenti dell’Arco Carpatico esterno. La fase di distensione del bacino non sarebbe sincrona: Royden et al., (1983) differenziano tre episodi di distensione, tutti compresi nel Miocene medio-superiore, con un progressivo spostamento verso ovest della distensione cui ha corrisposto una migrazione verso est del fronte delle falde. Pertanto i bacini della regione Pannonica, nel loro insieme, farebbero parte di un sistema collegato di faglie, con tettonica distensiva di modesta profondità, nel Bacino di Vienna, e con tettonica distensiva più profonda, interessante la crosta ed il mantello superiore, nel settore centrale del Bacino Pannonico.
I dati stratigrafici del sottosuolo ed i dati termici indicano che un modello uniforme di tipo distensivo non può spiegare adeguatamente la subsidenza dei bacini della regione pannonica; gli stessi dati suggeriscono invece che nei bacini interni pannonici la distensione litosferica fu accompagnata dall’afflusso di nuovo calore nel mantello superiore.