Corso di Geologia

Argomento: TETTONICA GLOBALE


INDICE


  07.3.4 - Subsidenza delle Avanfosse. Modelli Genetici

Gli studi sulla subsidenza delle avanfosse sono ancora insufficienti per spiegare alcuni aspetti della loro evoluzione.  I modelli quantitativi di Bird et al. (1977) e Bird (1978) sulla subduzione di litosfera continentale non sono stati comprovati da dettagliati calcoli della subsidenza nè dai dati dell’evoluzione termica delle avanfosse. Nella fig. 174 il confronto tra la ricostruzione palinspastica (sezione in alto) del Canada Occidentale alla fine del Paleozoico e la sezione geologica attuale della stessa regione (sezione in basso) indica che la subsidenza dell’avanfossa può essere accentuata dal peso delle falde che poggiano sul prolungamento, parallelo all’immersione, del substrato regionale dell’avanfossa. L’angolo di inclinazione di questo pendio regionale, nel caso in questione, è stato determinato con accuratezza per mezzo dei profili sismici a riIlessione. Da notare che la zona di cerniera del basamento si è spostata con il tempo mantenendo la configurazione di avanfossa migrante.
Price (1973) fu il primo a proporre che la formazione e la geometria dei bacini di avanfossa adiacenti a zone di catena potessero essere anche il risultato dell’ inflessione dell’avanpaese. Il peso delle falde costituenti una catena viene così equilibrato dalla flessione e dalla subsidenza dell’avanpaese. Questa ipotesi offriva la possibilità di collegare geneticamente la messa in posto delle falde durante l’orogenesi e il contemporaneo sviluppo delle avanfosse in aree esterne della catena. Price sostenne che la larghezza e la profondità di un bacino di avanfossa erano funzione della dimensione e della forma del carico (falde e sedimenti dell’avanfossa) e dei parametri che determinavano il modo di flettersi della litosfera dell’avanpaese (ad es. lo spessore reale della zolla). Il peso imposto dalle falde e dai sedimenti contenuti nell’avanfossa dovrebbe quindi essere sufficiente a produrre la flessura osservata nell’avanpaese al di sotto del bacino di avanfossa. Questi concetti hanno costituito il punto di partenza di molti dei più recenti studi sulla subsidenza (subsidenza tettonica) nelle aree di avanfossa (Beaumont, 1978, 1981; Roeder, 1980; Watts et al., 1980;Turcotte e Schubert, 1982; Royden e Kamer, 1984).

Le recenti pubblicazioni di Beaumont (1981) e di Beaumont et al. (1982) spiegano (con un modello che appare abbastanza soddisfacente) la subsidenza tettonica delle avanfosse (da Beaumont chiamate bacini di avanpaese) come il risultato di una flessura della litosfera sotto il peso sopracrostale delle adiacenti catene montuose. Beaumont oppone ai modelli che assumono una litosfera elastica uniforme modelli che assumono come punto di partenza un livello viscoelastico sostenuto da un fluido non viscoso. Mentre i modelli di una terra elastica mantengono costante la larghezza del bacino quelli di una terra viscoelastica prevedono, in corrispondenza ad un rilascio delle tensioni, la creazione di una più profonda depressione e conseguentemente di un bacino più stretto e di una zona di rialzo periferico (peripheral bulge) che si solleva progressivamente migrando verso l’area dove è situato il carico (cioè verso la zona di catena). Questo evento si ripete ogni qual volta si abbiano nuovi sovrascorrimenti. Va precisato che soltanto per il Canada Occidentale, il Wyoming ed alcune parti degli Appalachi e delle Alpi vi sono sezioni sismiche a riflessione che permettono realmente l’osservazione della tipica rampa di basamento (o pendio regionale) che s’inflette al di sotto sia dell’avanfossa sia dell’adiacente catena a pieghe e falde. I dati di sismica a riflessione più numerosi provengono dal Canada Occidentale ed insieme a quelli di superficie e del sottosuolo (Price, 1981) costituiscono i dati su cui si basa l’interpretazione di Beaumont (Fig. 179-182).

Recentemente Karner e Watts (1983), basandosi sul fatto che taluni bacini di avanfossa si sono preservati anche dopo che le adiacenti catene montuose sono state fortemente ridimensionate dall’erosione, hanno sostenuto l’ipotesi che un peso ulteriore, oltre a quello delle falde, deve agire sulla litosfera che s’immerge al di sotto della catena. Questa ipotesi potrebbe essere comprovata esaminando catene orogeniche attive o molto recenti nelle quali si sia conservata l’originale topografia e distribuzione delle strutture e sia ben nota la giacitura dei sedimenti all’interno dell’avanfossa. Una verifica di questa ipotesi è stata eseguita da Royden e Karner (1984) che hanno scelto come esempi di studio la catena Appenninica e quella Carpatica. L’avanfossa pliocenica dell’Appennino e quella tardo-miocenica dei Carpazi Orientali sono considerate delle tipiche avanfosse che si formarono contemporaneamente ai sovrascommenti nelle adiacenti catene montuose. Gli autori, per calcolare l’inflessione verso il basso del pendio monoclinalico regionale al di sotto delle avanfosse dell’Appennino e dei Carpazi Orientali esterni, hanno usato un modello semplice nel quale si assume che la litosfera dell’avanpaese (o zolla che sottoscorre) si comporti come una zolla elastica sovrastante un fluido astenosferico. Il confronto tra le profondità del basamento calcolate con il modello e quelle osservate ha rivelato che il peso rappresentato dalle falde e dai sedimenti delle avanfosse appenninica e carpatica è insufficiente a produrre l’inflessione realmente misurata del basamento continentale al di sotto dell’avanfossa. Secondo gli autori questo risultato implicherebbe l’esistenza di un peso addizionale che agisca in profondità aiutando a mantenere l’inflessione del basamento che s’immerge al di sotto dell’avanfossa. Ma se è vero che in questi due specifici casi il carico sembra risultare insufficiente a determinare la corrispondente avanfossa, è anche vero che i dati provenienti dalle indagini nell’area della catena Himalayana e del bacino del Gange (Kamer e Watts, 1983) e nell’area delle Ande indicano che in dette zone il solo carico delle falde e dei sedimenti è sufficiente per determinare l’inflessione del sottostante basamento.
In conclusione, data l’insufficienza dei dati e l’incompletezza dei modelli, è lecito porsi la domanda se il peso delle falde e il riempimento sedimentario di una iniziale depressione marginale può essere sufficiente a spiegare la subsidenza di un’avanfossa. Ci sono motivi per sospettare che oltre ai precedenti fattori possano giocare un ruolo importante altri meccanismi. Laubscher (1976, 1978) richiama l’attenzione sul paradosso dell’esistenza nella catena Alpina di faglie dirette (subparallele alla direzione regionale della catena) contemporanee a strutture compressive che si sviluppano nella zona di avanfossa. Come detto prima gli stessi fenomeni sono stati notati nell’avanfossa della catena Ouachita-Marathon. Ulteriori aspetti debbono perciò essere presi in considerazione nel preparare i modelli dei bacini di avanfossa. Poco si sa ad esempio dell’esistenza di frequenti superfici di discordanza a livello interregionale che precedettero la fase iniziale delle avanfosse. Le discordanze suggerirebbero infatti un’estesa flessura della litosfera continentale in una fase che precede la formazione dell’avanfossa vera e propria.