Corso di Geologia

Argomento: TETTONICA GLOBALE


INDICE


07.3 - BACINI PERISUTURALI: FOSSE OCEANICHE ED AVANFOSSE

I bacini perisuturali sono adiacenti alle megasuture e si sviluppano su litosfera rigida (Fig. 136). Nella nostra classificazione vengono differenziati i bacini di fossa oceanica, originati da processi di subduzione B, ed i bacini di avanfossa che sono da riferire a processi di subduzione A. Ambedue i tipi di bacini possono essere visti come depressioni omologhe sovrimposte su pendii continentali che si immergono verso e al di sotto l’area di megasutura. Nell’Asia Centrale ed in Cina dove non esistono margini di subduzione A, ma margini definiti da intrusioni felsiche meso-cenozoiche, i bacini associati vengono illustrati come bacini di tipo Cinese. Le avanfosse che non sono associate a megasuture meso-cenozoiche sono riferibili a margini di subduzione A paleozoici.



  07.3.1 - Fosse Oceaniche

L’ambiente delle fosse oceaniche è illustrato nella figura 106.

Dalla parte dell’arco vulcanico la fossa è delimitata dal complesso di accrezione che, dal punto di vista morfologico, ne costituisce il pendio interno. Dalla parte dell’oceano è delimitata dal pendio esterno che spesso si unifica con il rialzo esterno, una culminazione che giace a circa 100/200 km dall’asse della fossa oceanica (Watts e Talwani, 1974) ed è spiegata da molti autori come il risultato della flessura di una litosfera elastica cui è stato applicato un peso ad un estremo (Caldwell et al., 1976). La formazione del rialzo è comunemente accompagnata da faglie normali. A volte anche la crosta oceanica sottostante il pendio esterno può venire fagliata e scagliata (per es. Pacifico sud orientale in Kroenke, 1972; Fossa del Perù in Kulm et al., 1973).
Sui profili sismici eseguiti normalmente ad alcune fosse oceaniche si possono vedere sovente sedimenti pelagici concordanti con un fondo oceanico molto irregolare ed il basamento oceanico in subduzione estendersi al di sotto della fossa e per un certo tratto al di sotto del complesso di accrezione. Basamento oceanico e sedimenti che lo ricoprono appaiono spesso dislocati da faglie dirette. I depositi del prisma sedimentario di una fossa sono caratterizzati da strati suborizzontali (che ricoprono in onlap la successione sedimentaria di pendio esterno) e da strati deformati contro il lato interno della fossa oceanica (Von Huene, 1974; Scholl et al., 1974). Schweller e Kulm (1978) riassumendo i tipi di riempimento sedimentario delle fosse oceaniche differenziano quattro facies principali: 1) sedimenti pelagici di zolla oceanica; 2) sedimenti terrigeni di zolla; 3) prisma sedimentano di fossa oceanica; 4) depositi di conoide sottomarina.
La velocità di colmamento di una fossa risulta essere funzione dell’apporto dei sedimenti e della velocità di convergenza delle zolle. Un ridotto apporto di sedimenti (spesso determinato dal clima) e valori di velocità di convergenza delle zolle, da alta a moderata, possono portare al seppellimento della fossa oceanica sotto gigantesche conoidi sottomanne (ad es. la conoide dell’Astoria della Costa Occidentale degli Stati Uniti e la conoide del Bengala che ricopre la Fossa Indo-Burma-Andamane). Un moderato apporto di sedimenti e valori di velocità di convergenza delle zolle piuttosto ridotti portano alla formazione dei classici prismi sedimentari di fossa caratterizzati da torbide trasportate lungo canali assiali. Belle illustrazioni di profili di fosse oceaniche si trovano nel volume curato da Talwani e Pitman (1974).

La Fossa di Timor, una fra le fosse più studiate e note nella letteratura, mostra, a differenza dalla più occidentale Fossa di Giava (caratterizzata da un evidente piano di subduzione B), testimonianze di un incipiente subduzione di tipo A. Le fosse oceaniche per la loro notevole profondità non possono essere considerate aree economicamente utili per le ricerche petrolifere. 1.a conoscenza dell’evoluzione sedimentaria comunque di una certa importanza dato che le parti più elevate dei sedimenti di fossa possono essere coinvolte nei complessi di accrezione tipici di margini di subduzione B. Così, nel caso che i sedimenti coinvolti appartengano a conoidi sottomarine esiste la possibilità che si formino potenziali serbatoi nelle rocce clastiche delle scaglie embricate del complesso di accrezione.

  07.3.2 - Avanfosse
Le avanfosse sono bacini perisuturali collegabili a margini di subduzione A. Rispetto alle fosse oceaniche esse possono essere viste come depressioni omologhe sovraimposte su un pendio continentale che immerge verso le megasuture. Ambedue si ritrovano in sistemi dinamici e, col tempo, i depocentri di questi bacini migrano allontanandosi dall’asse della megasutura. I sedimenti delle fosse oceaniche si depositano direttamente su crosta oceanica, quelli delle avanfosse si sviluppano invece su successioni sedimentarie di piattaforma che a loro volta si erano depositate su crosta continentale. Nella letteratura classica i depositi iniziali di avanfossa sono comunemente rappresentati da successioni di mare profondo di tipo flysch mentre i depositi tardivi sono caratterizzati da sedimenti di tipo molassa di mare più basso. Il termine avanfossa (foredeep) così comunemente usato (v. anche Dennis, 1967) si riferisce a una depressione del basamento senza implicare alcuna connotazione morfologica e batimetrica. Noi preferiamo usare questo termine rispetto al sinonimo exogeosinclinale di Kay (1951) perché, come detto prima, siamo del parere che la vecchia terminologia della geosincinale vada abbandonata.

  07.3.2 - Nozione di avanfossa

Nella nozione di avanfossa prefériamo includere tanto le strutture della sottostante monoclinale (pendio regionale) quanto le aree che si estendono, in contropendenza, verso l’avanpaese (v. per uno schema di nomenclatura fig. 179). Questa classificazione differisce da quella adottata da Mc Crossan e Porter (1973) che dividono l’avanfossa, come da noi definita, in bacini cratonici con successioni poco potenti, in gran parte depositatesi durante periodi di massima trasgressione nella parte centrale del cratone e bacini epicratonici con potenti prismi sedimentari depositati lungo le scarpate dell’area centrale del cratone. I due differenti approcci riflettono la difficoltà a cui si va incontro nel definire sia i limiti tra l’avanfossa ed il bacino cratonico, sia il loro prolungamento verso le zone stabili.

Le avanfosse vengono qui divise in avanfosse impostate su pendii continentali (monoclinali regionali) con poca o nessuna traccia di tettonica sinsedimentaria nel basamento sottostante ed avanfosse impostate su di un basamento a volte fagliato.



  07.3.3 - Esempi di Avanfosse

La tipica area di avanfossa, impostata su una monoclinale regionale con basamento non deformato adiacente ad un margine di subduzione di tipo A, è la più tipica ma non è ovunque presente.  Ad esempio
ne sono sprovviste: l’area dell’Asia Centrale Sovietica che giace a nord della catena montuosa compresa tra il Pamir (Afganistan Settentrionale) ed i Monti dell’Elburz nell’Iran Settentrionale le Ande Colombiane e Venezuelane; le Montagne Rocciose Meridionali degli Stati Uniti.

Mostriamo alcuni esempi di avanfosse a scala regionale quali l’avanfossa del Canada (Fig. 174), della Molassa Alpina (Fig. 175) e di quella siciliana (Fig. 176-177).

 

Fig. 175A

 

 

Fig. 175B: Sezioni strutturali attraverso i bacini della Molassa Svizzera, Bavarese ed Austriaca ( modific. da Ziegler P.A., 1982).

 

L’avanfossa siciliana di Gela antistante la catena (vedi Introduzione alla Geologia della Sicilia)

 

 

Fig. 176



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Fig. 177

 

Fig. 178 
 
 

Schema evolutivo della migrazione di un’avanfossa

 

 

MODELLI DI AVANFOSSA



Fig. A



Fig. B



Fig. 179: Deformazione della superficie di una litosfera continua viscoelastica sottoposta a carico (vista in sezione). La sezione iniziale (qui illustrata nel profilo 1) è analoga a quella di una litosfera elastica rappresentata nella precedente figura. Se il carico permane nella litosfera, al di sotto del carico applicato si ha un rilascio degli sforzi, il cui effetto risulta essere la creazione di una più profonda depressione centrale e conseguentemente di un bacino più stretto, mentre il rialzo periferico migra progressivamente avvicinandosi all’area dove è applicato il carico (profili 2 e 3). Il carico applicato è naturalmente il peso delle falde (modific. da Quinlan e Beaumont, 1984).

 

Fig. 180: Il disegno illustra in sezione (in basso) e in pianta (in alto) la deformazione iniziale in una litosfera uniforme prodotta da un carico tridimensionale applicato in superficie o intruso nel sottosuolo. Le figure non sono disegnate in scala e l’ampiezza del rialzo periferico (peripheral bulge) è stata esagerata (modific. da Quillan e Beaumont, 1984).

 

Fig. 181: La carta mostra la Catena Appenninica e quella Carpatica con le rispettive aree di avanfossa. Allo scopo di calcolare l’inflessione delbasamento sotto il peso delle catene, Royden e Karner (1984) hanno studiato i settori attraversati dalle sezioni crostali 4, 5, 6. Le linee continue o tratteggiate con triangoli pieni indicano i fronti di accavallamento miocenico-olocenici nel sottosuolo od in mare; le linee sottili a tratteggio indicano le falde pre-miocenioche più esterne nelle Alpi, nei Carpazi meridionali e nei Balcani. Le zone in grisè rappresentano bacini distensivi di retroarco del Miocene e del Pliocene, mentre le aree a puntini rappresentano le aree di avanfossa (modific. da Royden e Karner, 1984).

 

Fig. 182: Sezione schematica attraverso una tipica catena con immersione delle strutture sintetiche rispetto alla subduzione. Si assume che la litosfera dell’avanpaese o zolla inferiore si comporti come un frammento di zolla elastica che giaccia al di sopra di un’ astenosfera fluida; la terminazione attive del frammento litosferico rappresenta (v. freccia) il limite tra la parte elastica della zolla e quella parte (a sinistra della freccia) che è troppo debole per trasmettere sforzi significativi di piegamento. L’indebolimento può essere dovuto a calore, fratturazione o altri meccanismi. Il peso applicato alla zolla inferiore è la somma del peso dei materiali in superficie (in nero) e del peso dei materiali nel sottosuolo. Il carico del sottosuolo w(x) è uguale al prodotto della densità delle rocce contenute (falde e sedimenti di bacino) per l’angolo di inflessione nella zolla inferiore rispetto al livello del mare. Pertanto il peso delle unità nel sottosuolo è direttamente proporzionale all’angolo di inflessione del basamento. Conoscendo il peso dei materiali in superficie, ambedue, carico nel sottosuolo e inflessione del basamento, possono essere determinati contemporaneamente (da Royden e Karner, 1984).

  07.3.4 - Subsidenza delle Avanfosse. Modelli Genetici

Gli studi sulla subsidenza delle avanfosse sono ancora insufficienti per spiegare alcuni aspetti della loro evoluzione.  I modelli quantitativi di Bird et al. (1977) e Bird (1978) sulla subduzione di litosfera continentale non sono stati comprovati da dettagliati calcoli della subsidenza nè dai dati dell’evoluzione termica delle avanfosse. Nella fig. 174 il confronto tra la ricostruzione palinspastica (sezione in alto) del Canada Occidentale alla fine del Paleozoico e la sezione geologica attuale della stessa regione (sezione in basso) indica che la subsidenza dell’avanfossa può essere accentuata dal peso delle falde che poggiano sul prolungamento, parallelo all’immersione, del substrato regionale dell’avanfossa. L’angolo di inclinazione di questo pendio regionale, nel caso in questione, è stato determinato con accuratezza per mezzo dei profili sismici a riIlessione. Da notare che la zona di cerniera del basamento si è spostata con il tempo mantenendo la configurazione di avanfossa migrante.
Price (1973) fu il primo a proporre che la formazione e la geometria dei bacini di avanfossa adiacenti a zone di catena potessero essere anche il risultato dell’ inflessione dell’avanpaese. Il peso delle falde costituenti una catena viene così equilibrato dalla flessione e dalla subsidenza dell’avanpaese. Questa ipotesi offriva la possibilità di collegare geneticamente la messa in posto delle falde durante l’orogenesi e il contemporaneo sviluppo delle avanfosse in aree esterne della catena. Price sostenne che la larghezza e la profondità di un bacino di avanfossa erano funzione della dimensione e della forma del carico (falde e sedimenti dell’avanfossa) e dei parametri che determinavano il modo di flettersi della litosfera dell’avanpaese (ad es. lo spessore reale della zolla). Il peso imposto dalle falde e dai sedimenti contenuti nell’avanfossa dovrebbe quindi essere sufficiente a produrre la flessura osservata nell’avanpaese al di sotto del bacino di avanfossa. Questi concetti hanno costituito il punto di partenza di molti dei più recenti studi sulla subsidenza (subsidenza tettonica) nelle aree di avanfossa (Beaumont, 1978, 1981; Roeder, 1980; Watts et al., 1980;Turcotte e Schubert, 1982; Royden e Kamer, 1984).

Le recenti pubblicazioni di Beaumont (1981) e di Beaumont et al. (1982) spiegano (con un modello che appare abbastanza soddisfacente) la subsidenza tettonica delle avanfosse (da Beaumont chiamate bacini di avanpaese) come il risultato di una flessura della litosfera sotto il peso sopracrostale delle adiacenti catene montuose. Beaumont oppone ai modelli che assumono una litosfera elastica uniforme modelli che assumono come punto di partenza un livello viscoelastico sostenuto da un fluido non viscoso. Mentre i modelli di una terra elastica mantengono costante la larghezza del bacino quelli di una terra viscoelastica prevedono, in corrispondenza ad un rilascio delle tensioni, la creazione di una più profonda depressione e conseguentemente di un bacino più stretto e di una zona di rialzo periferico (peripheral bulge) che si solleva progressivamente migrando verso l’area dove è situato il carico (cioè verso la zona di catena). Questo evento si ripete ogni qual volta si abbiano nuovi sovrascorrimenti. Va precisato che soltanto per il Canada Occidentale, il Wyoming ed alcune parti degli Appalachi e delle Alpi vi sono sezioni sismiche a riflessione che permettono realmente l’osservazione della tipica rampa di basamento (o pendio regionale) che s’inflette al di sotto sia dell’avanfossa sia dell’adiacente catena a pieghe e falde. I dati di sismica a riflessione più numerosi provengono dal Canada Occidentale ed insieme a quelli di superficie e del sottosuolo (Price, 1981) costituiscono i dati su cui si basa l’interpretazione di Beaumont (Fig. 179-182).

Recentemente Karner e Watts (1983), basandosi sul fatto che taluni bacini di avanfossa si sono preservati anche dopo che le adiacenti catene montuose sono state fortemente ridimensionate dall’erosione, hanno sostenuto l’ipotesi che un peso ulteriore, oltre a quello delle falde, deve agire sulla litosfera che s’immerge al di sotto della catena. Questa ipotesi potrebbe essere comprovata esaminando catene orogeniche attive o molto recenti nelle quali si sia conservata l’originale topografia e distribuzione delle strutture e sia ben nota la giacitura dei sedimenti all’interno dell’avanfossa. Una verifica di questa ipotesi è stata eseguita da Royden e Karner (1984) che hanno scelto come esempi di studio la catena Appenninica e quella Carpatica. L’avanfossa pliocenica dell’Appennino e quella tardo-miocenica dei Carpazi Orientali sono considerate delle tipiche avanfosse che si formarono contemporaneamente ai sovrascommenti nelle adiacenti catene montuose. Gli autori, per calcolare l’inflessione verso il basso del pendio monoclinalico regionale al di sotto delle avanfosse dell’Appennino e dei Carpazi Orientali esterni, hanno usato un modello semplice nel quale si assume che la litosfera dell’avanpaese (o zolla che sottoscorre) si comporti come una zolla elastica sovrastante un fluido astenosferico. Il confronto tra le profondità del basamento calcolate con il modello e quelle osservate ha rivelato che il peso rappresentato dalle falde e dai sedimenti delle avanfosse appenninica e carpatica è insufficiente a produrre l’inflessione realmente misurata del basamento continentale al di sotto dell’avanfossa. Secondo gli autori questo risultato implicherebbe l’esistenza di un peso addizionale che agisca in profondità aiutando a mantenere l’inflessione del basamento che s’immerge al di sotto dell’avanfossa. Ma se è vero che in questi due specifici casi il carico sembra risultare insufficiente a determinare la corrispondente avanfossa, è anche vero che i dati provenienti dalle indagini nell’area della catena Himalayana e del bacino del Gange (Kamer e Watts, 1983) e nell’area delle Ande indicano che in dette zone il solo carico delle falde e dei sedimenti è sufficiente per determinare l’inflessione del sottostante basamento.
In conclusione, data l’insufficienza dei dati e l’incompletezza dei modelli, è lecito porsi la domanda se il peso delle falde e il riempimento sedimentario di una iniziale depressione marginale può essere sufficiente a spiegare la subsidenza di un’avanfossa. Ci sono motivi per sospettare che oltre ai precedenti fattori possano giocare un ruolo importante altri meccanismi. Laubscher (1976, 1978) richiama l’attenzione sul paradosso dell’esistenza nella catena Alpina di faglie dirette (subparallele alla direzione regionale della catena) contemporanee a strutture compressive che si sviluppano nella zona di avanfossa. Come detto prima gli stessi fenomeni sono stati notati nell’avanfossa della catena Ouachita-Marathon. Ulteriori aspetti debbono perciò essere presi in considerazione nel preparare i modelli dei bacini di avanfossa. Poco si sa ad esempio dell’esistenza di frequenti superfici di discordanza a livello interregionale che precedettero la fase iniziale delle avanfosse. Le discordanze suggerirebbero infatti un’estesa flessura della litosfera continentale in una fase che precede la formazione dell’avanfossa vera e propria.



  07.3.5 - I Bacini di Foreland: caratteri generali ed evoluzione sedimentaria nella moderna interpretazione

I Bacini di Foreland, (termine introdotto formalmente da Dickinson nel 1974) sono definiti come “bacini sedimentari interposti tra la porzione frontale di una catena montuosa in fase di costruzione ed un area cratonica stabile, non deformata” (Dickinson,1974, Allen, Homewood,& Williams, 1986; Jordan, 1995) (Fig. 183a). Il termine Bacino di Foreland, identifica in senso ampio bacini sedimentari che occupano una vasta ed articolata area di sedimentazione suddivisibile in diversi contesti deposizionali e strutturali (es. avanfossa s.s. o foredeep Aubouin, 1965, bacini di piggyback ecc.).

Lo stesso Dickinson (1974) distingue bacini di forelandperiferici” posti in posizione frontale alla catena attiva e bacini di foreland di tipo “retroarco” che si formano sulla zolla in sovrascorrimento in associazione ad un fronte antitetico rispetto alla direzione di subduzione (vedasi anche Bally & Snelson, 1980; Mitrovica et al., 1989; Royden, 1983; Allen, 1986; Miall, 1995; Catuneanu, 2004) (Fig. 183b). Le differenze esistenti dal punto di vista geodinamico tra bacini di foreland “perfiferici” e “retroarco” sono state tracciate da vari autori tra cui Doglioni (1993, 1999),  Royden (1993), Jordan (1995).

In riferimento alla classificazione di Bally & Snelson (1980) e Bally, Catalano, Oldow (1985) i Bacini di Foreland rientrano nella classe dei bacini “perisuturali” posti su litosfera continentale, associati a zone di deformazione compressiva e/o alla formazione di aree di megasutura.  

La genesi dei bacini di foreland viene generalmente imputata a meccanismi di subsidenza flessurale guidati dal carico dovuto alla messa in posto delle unità tettoniche. Durante la convergenza tra le placche, il carico verticale esercitato dall’orogene in costruzione migra verso la zona di avampaese, insistendo progressivamente su porzioni sempre più esterne della placca in subduzione. Questo processo produce la migrazione, verso l’esterno, del bacino di foreland associato alla catena (Bally, Gordy & Steward, 1966; Price, 1973; Dickinson, 1974; Beaumont, 1981, 1989, 1993; Jordan, 1981, 1995; Sinclair & Allen 1992; Giles & Dickinson, 1995) (Fig. 183c). Royden & Kerner (1984) hanno mostrato nella catena Appenninica e nei Carpazi che tale meccanismo, da solo, non è sempre sufficiente a spiegare gli spessori (fino a 8 km) dei sedimenti che riempiono le “avanfosse” associate a questi due orogeni. L’ipotesi che un bacino di foreland si sviluppi da un semplice sistema convergente, mediante la sovrapposizione di successivi sovrascorrimenti è stata quindi sostituita da modelli più complessi che tengono conto dell’interazione di molteplici variabili. Entrare nel dettaglio di quali ed in che modo queste variabili regolino lo sviluppo di un bacino di foreland esula dagli obiettivi di questa tesi si rimanda quindi agli autori di riferimento (Karner & Watts, 1983; Stockman & Beaumont, 1987; Lyon-Caen & Molnar, 1989; Royden, 1993).

L’evoluzione di un bacino di foreland attraversa in genere tre fasi principali scandite dalla evoluzione dell’orogene (vedasi Covey, 1986).

1) La prima fase registra lo sviluppo dei primi sovrascorrimenti e l’inizio della subsidenza flessurale. In questo stadio i bacini di foreland sono sottoalimentati ed il loro margine esterno è caratterizzato da un progressivo approfondimento.

2) Durante la fase di accrezione (accretionary wedge phase di Sinclair & Allen, 1992) il bacino di foreland è affiancato da un edificio tettonico, per lo più sommerso, caratterizzato da movimenti che si esplicano per lo più lungo l’orizzontale.

Il bacino in questa fase è alimentato da sedimenti a granulometria fine, spesso torbiditici, che si accumulano in un ambiente deposizionale marino “profondo”; il tasso di subsidenza eccede il tasso di apporto sedimentario. I sedimenti che alimentano il bacino provengono da aree sorgente extra-orogenetiche (es. Marnoso-Arenacea dell’Appennino settentrionale). Questa fase è anche nota con il nome di Flysch Stage (Hsu, 1970; Allen, Homewood & Williams, 1986; Ricci Lucchi, 1986).

3) Durante la fase continentale (continental wedge phase di Sinclair & Allen, 1992), l’edificio tettonico in parte in posizione subaerea, diventa il principale fornitore di sedimenti. I movimenti all’interno dell’orogene sono in gran parte verticali; il tasso di sedimentazione eccede il tasso di subsidenza nell’antistante bacino di foreland che a sua volta viene “colmato” da depositi di mare basso, fluvio-deltizi ed alluvionali (es. Siwaliks Group hymalayano e freshwater Molasse alpina). Quest’ultima fase è nota anche come “stadio della Molassa” (Molasse Stage Bally et al. 1985; Allen, Homewood & Williams, 1986 pp. 10-11, Ricci Lucchi, 1986, pp109) (Fig. 183d).

L’utilizzo dei termini “Flysch” (Hsu, 1970) e “Molassa” (Bertrand, 1897), in questi ultimi anni, ha suscitato molta confusione nella descrizione dei depositi di bacino di foreland, in gran parte perché questi termini sono stati utilizzati indistintamente per identificare le litofacies (Mitchell & Reading, 1986) e le tectofacies (es. in Ricci Lucchi, 1986). Per una più ampia discussione su questa problematica si rimanda ad Houten (1974), Mitchell & Reading (1986) e Ricci Lucchi (1986).

Nella letteratura specifica, all’interno di un bacino di foreland sono stati distinti alcuni principali contesti tettono-deposizionali, di seguito descritti:

 1)                 il bacino di Avanfossa s.s. (foredeep): un bacino sedimentario ubicato davanti e parzialmente al di sotto alla porzione frontale di una catena attiva. Un bacino di questo tipo è generalmete caratterizzato (in sezione) da un profilo cuneiforme che si assottiglia allontanandosi dalla catena e spesso rappresenta un area di grande subsidenza;

 2)                  bacini di thrust-top, piggyback o wedge-top: con questi termini sono indicati i bacini sedimentari posti sul dorso di unità tettoniche limitate alla base da piani di sovrascorrimento e/o al di sopra del cuneo orogenetico (Ori & Friend, 1984; Bally et al., 1985; Allen, Homewood & Williams, 1986; Allen & Allen, 1990; De Celles & Giles, 1996; Mutti et al., 2003). La formazione di questi bacini è legata alla deformazione dell’originario bacino di avanfossa a causa della migrazione del fronte della catena (Fig. 183e);

 3)                  bacini di hinterland o intramontani: sono bacini sedimentari che si sviluppano in risposta a stress di tipo estensionale (di rilascio) nei settori interni della catena; i sedimenti deposti in questi bacini sedimentari vengono detti “post-orogenici” e sono coevi dei sedimenti “sin-orogenici” che si depongono nelle zone frontali della catena (Ricci Lucchi et al, 1981; Ricci Lucchi, 1986; Amorosi et al., 2002).

Una nuova configurazione del Foreland Basin deriva dal concetto di Foreland Basin System FBS (De Celles & Giles, 1996) (Fig. 183f).

Il Foreland Basin System è definito come “una regione allungata con elevato potenziale di accomodamento di sedimenti, ubicata tra un orogene in fase di costruzione ed un’area cratonica indeformata,formatasi in risposta a meccanismi geodinamici legati alla formazione delle catene montuose ed ai sistemi di subduzione ad esse associate”.

Una delle principali differenze rispetto al concetto classico di bacino di foreland (Jordan, 1995) è che il foreland basin system tiene conto delle aree di sedimentazione poste oltre (fino a centinaia di chilometri) la zona di massima subsidenza (generalmente corrispondente alla parte assiale dell’avanfossa s.s.). Considerando queste aree di accumulo come parte del bacino di foreland la classica geometria a cuneo ispessito verso il fronte della catena, modellizzata per il riempimento sedimentario di un’avanfossa classica, viene sostituita da un cuneo sedimentario che si restringe sia in direzione dell’orogene tanto quanto in direzione del cratone indeformato.

Utilizzando il modello di FBS è possibile considerare parte del bacino di foreland anche aree deposizionali che altrimenti verrebbero escluse  (es. i bacini posti sull’orogene o i bacini post oltre il rialzo periferico) e che invece giocano un ruolo importante nell’interpretazione dell’evoluzione del sistema catena-avanfossa.

In un FBS è possibile distinguere quattro zone deposizionali “depozones”; l’appartenenza di un roccia e/o successione sedimentaria ad una di queste zone deposizionali dipende dalla originaria posizione in cui è avvenuta la sedimentazione. Una particella conserva la firma sedimentaria della zona deposizionale in cui è stata deposta, ma può essere incorporata in un’altra zona deposizionale in risposta alla migrazione del cuneo orogenetico (Fig. 183g).

Muovendosi dall’interno verso l’esterno attraverso un FBS, è possibile distinguere:

- zona deposizionale ubicata sopra il cuneo orogenetico (wedge-top depozone): costituita dall’insieme dei sedimenti accumulati sul dorso della porzione frontale del cuneo orogenetico. Questa zona include bacini di piggyback e/o thrust-top (Ori & Friend, 1984), “satellite” (Ricci Lucchi, 1986), wedge-top (Mutti et al., 2003), riempimenti di larghi canyon distributori nelle zone interne del edificio tettonico (Vincent & Elliot, 1995; Coney et al., 1995), depositi associati a locali backthrust o a sovrascorrimenti fuori sequenza (Burbank et al., 1992; De Celles, 1994) e depositi appartenenti a sistemi di drenaggio regionali antecedenti alle più recenti strutture ed alla topografia rinvenibili verso il bacino (Schmitt & Steidtmann, 1990). In ambiente subaereo la wedge-top depozone ospita la porzione più grossolana dei depositi del bacino di foreland. E’ caratterizzata in particolare da litofacies alluvionali, fluviali o lacustri; in ambiente subacqueo i depositi di wedge-top sono rappresentati da sedimenti di mare sottile di piattaforma continentale. La composizione dei sedimenti che si accumulano all’interno della wedge-top depozone riflette tipicamente le rocce erose a causa del sollevamento delle unità tettoniche.

L’accumulo dei sedimenti all’interno di questa zona deposizionale è il risultato netto della competizione tra subsidenza da carico regionale e sollevamento regionale e locale del cuneo orogenetico dovuto per ispessimento crostale o rebound isostatico. In aggiunta l’accumulo locale di depositi può essere indotto dal sollevamento locale di strutture tettoniche.

Altri caratteri distintivi dei depositi di wedge-top sono: la presenza diffusa di unconformities locali e regionali, l’immaturità tessiturale e composizionale dei sedimenti e la presenza di geometrie di crescita (Beaumont, 1981; Jordan, 1981; Peper et al., 1995). L’inclusione della wedge-top depozone nella definizione di FBS richiede la costruzione di un modello stratigrafico caratterizzato da un prisma sedimentario che si assottiglia  (in sezione trasversale) sia verso l’esterno che verso l’interno del sistema, piuttosto che il tipico cuneo sedimentario asimmetrico.

- la zona deposizionale di avanfossa s.s. (foredeep depozone): è rappresentata dall’insieme dei sedimenti accumulati nella porzione frontale del cuneo orogenetico. Questa zona deposizionale è occupata da un cuneo di sedimenti (spesso tra 2 e 8 Km) che si accumulano in condizioni sub-aeree (sistemi fluviali ed alluvionali) e sub-acquee da relativamente di mare basso (sedimenti deltizi o di piattaforma) fino a condizioni di mare relativamente profondo (sedimenti torbiditici).

- la zona deposizionale posta davanti al rialzo periferico (forebulge depozone): occupa una zona spesso caratterizzata da inarcamento di tipo flessurale, che si verificano lungo il margine esterno del bacino di avanfossa. Per questi motivi questo settore è considerato generalmente una zona di non deposizione o di erosione, caratterizzata da numerose superfici di discordanza e discontinuità. La migrazione nel tempo di queste ultime può essere utilizzata per tracciare la posizione del forebulge durante l’evoluzione del sistema orogenetico (Bosellini, 1989; Fleming & Jordan, 1990; Plint et al., 1993).

- la zona deposizionale posta sul retro del rialzo periferico (backbulge depozone): è rappresentata dall’insieme dei sedimenti accumulati tra il forebulge ed il cratone indeformato. In condizioni subacquee i sedimenti che si depongono in questa zona sono  generalmente di mare basso (Ben Avraham & Emery, 1973; Holt & Stern, 1994).

 

Fig. 183a - Rappresentazione schematica di un Bacino di Foreland (da Jordan, 1995)

 

Fig. 183b - Bacini di Foreland di tipo “perfiferico” e “retroarco” (mod. da Mitrovica et al., 1989; Royden 1993; Catuneanu, 2004)

 

Fig. 183c - Migrazione del bacino di avanfossa indotta dal carico della catena in costruzione (da Beaumont, 1989, 1993)

 

 

Fig. 183d -  Fasi evolutive di un bacino di foreland e dell’orogene ad esso associato (mod. da Sinclair & Allen, 1992)


 

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  Fig. 183e. - Caratteristiche di un bacino di tipo piggyback (mod. da Ori & Friend, 1984)

 

 

 

  Fig. 183f - Ubicazione delle differenti depozones all’interno del modello di Foreland Basin System (mod.

  da De Celles & Giles, 1996).

 

 

Fig. 183g. - Variazione della depozone occupata da una particella in risposta alla migrazione del Foreland Basin System (mod. da De Celles & Giles, 1996).