Corso di Geologia

Argomento: TETTONICA GLOBALE


INDICE


06 - STUDIO DEI MARGINI



06.1 - CLASSIFICAZIONE DEI MARGINI CONTINENTALI

La distribuzione dei terremoti e le caratteristiche crostali sono gli elementi di base per una suddivisione dei margini continentali in:

·         margini divergenti: (o secondo alcuni Autori, passivi) sono quei margini con attività sismica vulcanica  molto ridotta o assente. I margini intrazolla seguono il limite tra costa continentale e oceanica;

·        margini convergenti (o attivi): sono margini associati ad una elevata attività sismica e a vulcanismo. Essi si formano lungo i limiti di placche convergenti dove la litosfera rigida e fredda sprofonda nell’astenosfera più calda e meno viscosa. Archi insulari e bacini marginali disposti lungo il lato concavo sono strutture tipiche dei margini attivi;

·         margini trasformi (o conservativi): tanto i margini attivi quanto quelli passivi sono spesso interessati da sistemi di faglie trasformi, nel qual caso le strutture sono determinate da una tettonica trascorrente e, come nel caso dei margini attivi, caratterizzate da intensa sismicità.



06.2 - MARGINI DI ZOLLA DIVERGENTI

I margini divergenti si sviluppano lungo i centri di espansione dove le zolle si allontanano e nuova crosta si crea da un magma che si solleva dal mantello. La dorsale Medio Atlantica è l’esempio più studiato di margini divergenti.

I margini divergenti che si sviluppano nei bacini oceanici sono comunemente ritenuti come centri di espandimento della crosta oceanica. In essi i movimenti relativi delle zolle sono ortogonali al margine e dirette verso l’esterno. La loro espressione fisiografica è rappresentata dalle dorsali medioceaniche: regioni a decorso lineare, topograficamente sollevate, a volte anche di 2 o 3 Km, rispetto alle piane abissali circostanti. La morfologia delle dorsali medioceaniche varia da punto a punto passando da aree molto rilevate, scabre e ripide, come ad esempio la Dorsale Atlantica, ad aree topograficamente più basse ma meno ripide come ad esempio la Dorsale Pacifica Orientale (East Pacific Rise).

 

 

 

                

                      Fig. 69                                                                            Fig. 70

 

Lungo l’asse delle strutture topografiche si ritrova un sistema centrale di fosse tettoniche  con un profilo essenzialmente simmetrico. La fossa mediana (o rift centrale) è dislocata da un importante sistema di faglie dette trasformi  che sono ortogonali alla sua direzione.

 

  

Fig.71

 

L’evidente spostamento prodotto nel rift centrale dalle faglie trasformi indusse i primi ricercatori ad indicare queste faglie come i più importanti sistemi di movimenti trascorrenti crostali.

Esistono almeno tre linee di evidenza a sostegno del significato tettonico delle dorsali come zone di espansione.

 

  

Fig. 72

 

Le prime due, molto chiare nel loro significato, sono la distribuzione simmetrica delle anomalie magnetiche lungo la dorsale medioceanica e l’età della litosfera sistematicamente più antica man mano che ci allontaniamo dalle dorsali.

La posizione delle dorsali rimane stabile per periodi di milioni di anni come indicato sia dalla simmetria assiale delle anomalie magnetiche che dalle età della litosfera oceanica.

la variazione di età e i dati magnetici sono sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’espansione dei fondi oceanici; ma queste prove non erano state acquisite al tempo in cui per la prima volta venne introdotto il concetto di espansione dei fondi oceanici.

Il significato delle bande magnetiche (osservate da Vine e Matthews, 1963) come prodotto dell’espansione lungo segmenti di rift fu previsto da Wilson (1965) quando propose l’esistenza di una nuova classe di faglie, le faglie trasformi.

 


 

  

Sezione attraverso la crosta oceanica ed il mantello presente sotto la dorsale medio oceanica  atlantica secondo un possibile modello per la generazione del magma (non in scala) (From J. M. Hall and P.T. Robinson, Science, vol. 204, p. 581, 1979, copyright © 1979 by the American Association for the Advancement of Science).

 


 

Faglie trasformi: costituiscono una nuova classe di faglie con predominante spostamento laterale. Esse hanno un movimento di senso opposto a quello mostrato dagli spostamenti della dorsale e sono il prodotto di un margine divergente ripetutamente segmentato. Gli studi sismici della dorsali medioceaniche provano l’esistenza  delle faglie trasformi.

  

Fig. 73

 

Movimenti relativi delle zolle lungo la dorsale oceanica e le faglie trasformi. (a) vista in tre dimensioni; (b) vista in pianta; (c) mostra la progressione dell’espandimento lungo le dorsali

 

   

Fig. 74

 

Questo modello fu comprovato dall’esperienza di Sykes (1968) il quale si servì dell’analisi delle onde compressive di primo arrivo dei terremoti della Dorsale medio atlantica. Alcuni aspetti di questo studio sono fondamentali per la comprensione dell’espansione dei fondi oceanici. Nella figura collegata la posizione degli epicentri illustra la distribuzione spaziale dell’attività sismica e, a seconda del loro numero, l’abbondanza relativa dei terremoti. Gli ipocentri delle faglie all’interno del graben centrale indicano movimenti distensivi, mentre le faglie trasformi (a queste ortogonali) sono caratterizzate da meccanismi focali trascorrenti soltanto nelle regioni situate tra i segmenti della fenditura (rift) centrale. Lateralmente ai tronconi della dorsale, i movimenti lungo le faglie trasformi sono prevalentemente verticali con una ridotta o inesistente componente trascorrente.

  

Fig. 75

 

   

Fig. 76

 

Queste caratteristiche possono essere spiegate unicamente da un processo di espansione oceanica. Infatti, mentre la presenza di faglie dirette nel graben centrale è facilmente spiegabile con la distensione crostale, il senso del movimento osservato sui segmenti di faglie trasformi tra i tronconi della dorsale può essere solo motivato dal movimento relativo di due zolle litosferiche divergenti, movimento che ha origine nella fenditura assiale.

 

D’altro canto, gli spostamenti verticali nel segmento della faglia trasforme, esterno alla zona centrale della dorsale, sono la risposta a un processo di contrazione termica (raffreddamento) differenziale. Le parti di faglie trasformi che giacciono tra i segmenti del rift centrale separano due zolle che si muovono l’una rispetto all’altra. Le parti di faglie trasformi presenti in aree esterne ai tronconi del rift invece separano parti della stessa zolla, quindi ambedue i lati della faglia si muovono nella stessa direzione.

 

Le caratteristiche topografiche conseguenti allo stato termico della litosfera e la velocità relativa delle zolle rappresentano due fattori determinanti per la morfologia delle dorsali medioceaniche. Infatti se al margine divergente si manifesta una notevole velocità relativa tra le zolle, la risultante dorsale medioceanica sarà costituita da un ampio e voluminoso rigonfiamento con moderato rilievo; al contrario in un sistema di zolle in lenta divergenza si svilupperà una fase di maggiore contrazione (raffreddamento) in un più breve spazio, dando origine di conseguenza ad una dorsale con morfologia più tormentata e con un volume nettamente ridotto.

Le dimensioni delle dorsali medio-oceaniche determinano in modo consistente le variazioni del livello globale del mare. Durante i periodi di esteso rigonfiamento medio-oceanico si riduce il volume dei bacini oceanici dando origine ad un sollevamento eustatico del livello del mare. Viceversa, nei periodi in cui si ha formazione di dorsali medioceaniche relativamente ristrette e con ridotto volume, si avrà un abbassamento eustatico del livello del mare.



  06.2.1 - Sviluppo dei margini divergenti

Molti tra i più sviluppati centri di espansione si sono originati al di sotto della litosfera continentale e hanno prodotto nella loro fase iniziale una separazione continentale (rift). L’evoluzione dei rift continentali è molto importante perché, determinatosi l’espansione oceanica, queste zone diventano margini passivi continentali e come tali rappresentano le aree di maggiore accumulo di sedimenti. Le successioni sedimentarie di un margine passivo raggiungono spessori di 12-14 Km accumulandosi durante e dopo la fase di rottura (rift) continentale e la formazione ed espansione (drift) della litosfera oceanica.

Questo implica che i margini continentali sono sottoposti dopo il rift ad una intensa subsidenza che è legata fondamentalmente al raffreddamento della litosfera (S. tettonica) e al peso dei sedimenti (S. di carico).



06.3 - FASE DI SEPARAZIONE CONTINENTALE

Il processo  iniziale che porta alla lacerazione dell’originaria massa continentale è poco conosciuto. Sono ben documentate le manifestazioni fisiche del processo ma non sono chiari i meccanismi del sottostante “motore”.

Alcuni ricercatori pensano che la formazione di un rift sia da collegare con l’esistenza di punti caldi profondi nel mantello che produrrebbero larghi inarcamenti di origine termica della crosta. La crosta di queste zone inarcate viene ridotta in sistemi trilaterali di graben che più tardi diventeranno giunzioni triple tra le zolle litosferiche. Cloos (1939) anticipò questo concetto che negli anni recenti è stato poi sviluppato in maniera dettagliata da Burke e Dewey (1973), Hoffman et al., (1974) e Burke (1977).

D’altro canto sono pure noti i processi di separazione che si sviluppano senza sostanziale inarcamento; ma in entrambi i casi, nella fase più avanzata il rifting può spesso abortire, instaurandosi così una subsidenza regionale quando il sistema comincerà a raffreddarsi (vedi il caso del Mare del Nord).

Se il processo di separazione continua si può giungere alla formazione di un proto-oceano nel suo stadio giovanile (tipo Mar Rosso) che a sua volta può diventare proseguendo l’espansione, un oceano completo.

Esiste una vasta letteratura sui processi di separazione e relativa distensione della litosfera continentale che in superficie appare collegata alla presenza di valori molto alti del flusso di calore. La semplice constatazione che gli stessi rift formatisi su crosta oceanica tagliano anche la litosfera continentale, come ad esempio in Africa orientale, suggerisce che l’astenosfera sottostante continenti ed oceani deve giocare un ruolo importante nel rendere possibile l’assottigliamento della litosfera.



06.4 - FOSSE TETTONICHE (RIFT)

Fra gli esempi più noti di rift sono da ricordare i grandi Rift Africani, il Graben della Valle del Reno, il Lago Baikal, il Rift del Rio Grande.

Pur essendo la maggior parte di questi rift sepolti da copertura sedimentaria di margini di tipo Atlantico, di bacini cratonici e di bacini di avanfossa, tuttavia lo studio di alcuni di essi, in particolare quelli più recenti come il Graben del Reno e il Rift del Rio Grande, ci permette di fare una serie di osservazioni da utilizzare per la comprensione di queste strutture.

 -          La distensione crostale osservata sarebbe in eccesso rispetto ad una superficie interessata da un semplice inarcamento (Artemiev e Artyushkov, 1971). Perciò l’assottigliamento crostale e/o litosferico deve entrare necessariamente in gioco.

 -          L’analisi del primo impulso d’onda dei terremoti recenti suggerisce un meccanismo tettonico di distensione, comprovato poi dall’esistenza di faglie dirette antitetiche.

 -          Nella regione assiale delle aree indicate viene misurato un alto flusso di calore.

 -          Nella crosta inferiore sono segnalati livelli a bassa velocità.

 -          I dati della sismica a rifrazione ed a riflessione a grande angolo segnalano una Moho più superficiale rispetto alle zone circostanti. Inoltre nei rift più recenti la velocità di propagazione nei livelli sottostanti la Moho è piuttosto bassa (7,6-7,7 km/sec.); al di sotto dei rift più antichi e inattivi (ad es. l’Aulacogeno  del Dneper-Donez) la Moho è ugualmente superficiale ma le velocità del mantello sono normali (8-8,7 km/sec). Questo dato indica che l’assottigliamento crostale rimane preservato anche nei rift antichi e che gli strati a bassa velocità della crosta inferiore danno luogo nel tempo a rocce del mantello con valori di velocità maggiori.

 -          Sebbene i graben che si formano in un rift siano riempiti di sedimenti (fino a 3000 m nel Graben del Reno) i dettagli del processo di colmamento, cioè la relazione tra progradazione dei sedimenti lungo l’asse del rift e colmamento ad opera di materiali provenienti dai fianchi del rift, sono ancora poco noti. In alcuni rift sono state rinvenute rocce di ambiente lacustre, come nella Valle del Reno, o depositi di carbone che a volte hanno funzioni di rocce madri per idrocarburi. Ai depositi euxinici seguono generalmente quelli salini, ed in alcuni casi, depositi francamente marini.

 -          Il vulcanismo ha le caratteristiche dei regimi distensivi (vulcanismo iperalcalino).

 

 

  

Fig. 77

Sviluppo di un margine passivo dall’individuazione dei centri di espansione in una regione emersa (separazione o rifting continentale), alla creazione del fondo oceanico: espansione (spreading) oceanica.

 

Dalla fase di Fosse tettoniche a quella di Dorsali oceaniche

 

  

Fig.  78

Schema tradizionale di un rift con sistemi di graben simmetrici. Nello schema sono rappresentate faglie trasformi, faglie listriche ed assottigliamento crostale. Le faglie listriche possono costituire un meccanismo di assottigliamento della porzione fragile della crosta. La profondità a cui tali faglie listriche possono giungere non è stata ancora determinata (modificato da Liggett e Ehrenspeck, 1974 e Liggett e Childs, 1974).

 

  

Fig. 79:  Profili crostali attraverso sistemi di graben

.

 

  

Fig. 80: Sistema del rift Est-Africano

 

In Africa orientale processi di espansione hanno già separato la penisola Araba dal resto del continente Africano formando il Mare Rosso. La zolla Africana e quella Araba si incontrano nel Golfo di Aden  con il Mar Rosso (Giunzione Tripla). E’ possibile che un nuovo centro di espansione si stia sviluppando lungo la zona del Rift dell’Africa orientale. Questa regione potrebbe essere la sede del prossimo più grande oceano terrestre se l’espansione dovesse continuare.

  
fig.81


 

 

Fig. 82: Islanda, area della dorsale attuale.

 

Fig. 83  Dorsale medio-atlantica che separa l’Islanda e limita la zolla Nordamericana da quella Eurasiatica. I triangoli indicano vulcani attivi.

 

La velocità di espansione lungo la dorsale Atlantica è di circa 2,5 cm/anno o 2,5 km ogni 100 mila anni. In Islanda, un laboratorio naturale per studiare in terra i processi di espansione oceanica, esiste un centro di espansione tra la zolla Nord Americana e quella Eurasiatica in quanto il Nord America si muove verso ovest relativamente ad Eurasia.

Le conseguenze dei movimenti di zolle sono mostrate da frequenti fratture superficiali che tendono ad allargarsi mentre se ne formano delle nuove che sono spesso accompagnate da attività vulcanica. Il terreno si solleva di 1-2 m prima di sprofondare bruscamente segnalando così una eruzione in arrivo.

Fig. 84: Dicchi basaltici lungo la dorsale medio-atlantica in Islanda.

 

Fig. 85: Carta dei vulcani e dell’andamento dei dicchi basaltici in Islanda.

 

 

Modelli di faglie distensive

 

 Fig. 86

Modelli di faglie crostali: a) le faglie si ramificano verso il basso nella zona di transizione duttile-fragile all’interno della litosfera e quindi praticamente non cambiano la loro orientazione con la profondità; b) Le faglie sono piani listrici normali che si curvano con la profondità e diventano subparalleli nella zona di transizione duttile-fragile; c) faglie a gradinata che intersecano la superficie di contatto duttile-fragile con angolo elevato nel punto d’innesto formando blocchi che si inclinano durante la distensione (come i tasselli del domino) fino a quando la componente normale dello sforzo è troppo grande per permettere un ulteriore spostamento sul piano di faglia appiattito. In questo stadio si possono sviluppare nuove faglie che indurranno un ulteriore basculamento nei blocchi già fagliati; d) superfici di distacco a basso angolo, di dimensioni crostali, che travalicano la zona di contatto duttile-fragile e che appaiono tagliare e troncare tutti gli altri tipi di faglie distensive.

 

 


Faglie listriche

 

 

Fig. 87



Progressione della formazione di una faglia listrica diretta sinsedimentaria

 

Fig. 88
 
 

Faglie listriche con e senza crescita

 

Sistemi di semigraben

 

Fig. 89
 
 

Glolfo di Biscaglia settentrionale. La sezione mostra la linea sismica della figura successiva espressa in profondità (rapporto scalare 1:1). Da notare la faglia listrica che delimita i blocchi ruotati. Vicino alla base delle faglie listriche si osserva un riflettore orizzontale che corrisponde all’interfaccia tra gli strati a 4,9 Km/s e 6,3 Km/sec, come viene definita dalla riflessione sismica (Avedik e Horward, 1979). La discontinuità di Moho è a 12 Km (da Montadert et al., 1979 a).

 

 

Fig. 90



06.5 - MARGINI CONTINENTALI PASSIVI

I margini continentali passivi (margini di tipo Atlantico) corrispondono a regioni caratterizzate da potenti successioni, costituenti prismi sedimentari che si ispessiscono verso l’oceano, e da una sottostante litosfera continentale fagliata in horst e graben (semigraben con  depositi di syn-rift) e progressivamente assottigliata Un margine passivo rappresenta una fase successiva al sistema di rift continentale e si forma immediatamente dopo la creazione di crosta oceanica dal centro di espansione (dorsali oceaniche).

 

Fig. 91

 

Fig. 92 Profilo sismico e corrispondente line drawing del profilo sismico CROP M3, che attraversa il margine continentale maltese-ibleo. Nota il progressivo assottigliamento della crosta continentale verso est. 1) top del basamento cristallino; 2) discontinuità della Moho.

 

 

Fig. 93: Sezione geologica semplificata dalla piattaforma ibleo-maltese alla piana abissale ionica.

 

                              

Fig. 94


Fig. 95 -Golfo di Biscaglia settentrionale. Il basamento acustico (B) è costituito da rocce sedimentarie stratificate del Mesozoico inferiore. Questi strati vennero fagliati e ruotati  durante la fase di rifting del cretaceo inferiore. La scala verticale è in secondi. Unità 1 A: Quaternario-Pliocene sup. Unità 1 B: Pliocene-Miocene inf. Unità 2: Miocene-Paleocene sup. Unità 3: Maastrichtiano-Campaniano. Unità 4: Albiano sup.-Aptiano sup.

 

 

Evoluzione di margini continentali passivi

Fig. 96


  06.5.1 - Modelli di sviluppo dei Margini continentali passivi

La crosta resta sottile in permanenza anche dopo la scomparsa della perturbazione termica. Calcoli basati su un sistema compensato isostaticamente dimostrano che la subsidenza avviene soltanto per spessori crostali che inizialmente superavano i 18 km. L¡¯ammontare della subsidenza e i1 flusso termico dipendono esclusivamente dall¡¯ammontare dello stiramento. La Figura 28a illustra il rapporto tra subsidenza e radice quadrata del tempo (¦Â = ¡Þ corrisponde alla rottura completa della litosfera continentale e alla formazione di litosfera oceanica). Si pu¨° convertire la subsidenza in spessore del sedimento usando un modello dell¡¯equilibrio isostatico flessurale o di Airy. Occorre, per¨°, conoscere la densit¨¤ e il grado di compattazione del sedimento per poter eseguire questi calcoli separatamente per ogni bacino. Si pu¨° poi confrontare la storia della subsidenza di un bacino, ottenuta per lo pi¨´ dai sondaggi petroliferi, col modello di un evento di stiramento di velocit¨¤ e durata date (Jarvis e McKenzie, 1980).

     

Fig. 97 - Assottigliamento crostale e formazione..   Assottigliamento crostale e subsidenza .   Rifting, distensione

di  faglie listriche                                                                                                                       e resistenze

 

Figura 97b -Modello di subsidenza che combina meccanismi di sforzo e termici. (a) Al tempo t = O un blocco di crosta si estende di un fattore ¦Â, causando subsidenza; (b) astenosfera calda sale a sostituire la litosfera assottigliata; (c) ulteriore subsidenza quando la perturbazione termica cessa e la litosfera si ispessisce (ridisegnato da McKenzie 1978, con permesso di riproduzione della Elsevier).


 

Figura 98: Subsidenza in funzione della radice quadrata del tempo, per il modello presentato nella Figura rappresentata in relazione sia alla profondit¨¤ dell¡¯acqua sia allo spessore dei sedimenti (ridisegnato da McKenzie, 1978, con permesso di riproduzione della Elsevier).



  06.5.2 - Subsidenza Dei Margini Continentali

                   

 

                                     Fig. 99                                                          Fig. 100


Fig. 101: Margini Atlantici degli Stati Uniti (Baltimora Canyon). Nella sezione sismica i riflettori divergenti verso l’oceano (in basso a sinistra) sono da collegare ad una fase di separazione. La potente sezione giurassica è in parte dovuta alla subsidenza seguita al raffreddanebto litosferico dopo la fase di separazione. Il pozzo Cost B3 è collocato sul fianco occidentale di una struttura che appare più evidente sul profilo sismico ingrandito in basso.

 


Modello di un margine continentale ibrido

Fig. 102

 

 


Modelli di evoluzione di margini continentali passivi

 

 

 

Evoluzione di margini passivi. Il modello di sinistra coinvolge vulcanesimo all’interno di una ristretta zona; a questa fase segue la costruzione di una dorsale precoce, subsidenza post rift ed espandimento oceanico. Il modello di destra coinvolge una iniziale intrusione di rocce vulcaniche molto più diffuso cui segue il “salto” dell’asse di espansione e vulcanismo.


 

Fig. A

 

 

Fig. B

 



 

 

 




Fig. C


 

Fig. D

 

 



06.6 - MARGINI CONVERGENTI

I margini di zolla convergenti, quelli in cui la velocità relative delle zolle hanno una componente predominante orientata normalmente alla loro interfaccia, sono comunemente associati con catene a pieghe e a falde che si formano nella zolla geometricamente sovrastante. Lo sviluppo delle strutture dei prodotti dalla compressione non è notevole se considerato alla luce dell’entità degli spostamenti tra le zolle; più sorprendente risulta invece la formazione di strutture di distensione in ambienti di margini convergenti. I margini convergenti vengono distinti in due grandi classi:

 a) margini di subduzione, in cui una o ambedue le zolle sono costituite da litosfera oceanica e la zolla litosferica in subduzione è quella oceanica (subduzione B);

Fig. 103

 

 

 

b)      margini collisionali, nei quali una o ambedue le zolle sono costituite da litosfera continentale e la zolla litosferica in subduzione è quella continentale (subduzione A).

 

Fig. 104

 

Le due classi di margini hanno in comune molte caratteristiche strutturali e morfologiche, ma anche numerose e importanti differenze. Come si vedrà in seguito tutti i margini collisionali passano attraverso uno stadio del loro sviluppo nel quale assumono un comportamento tipico dei margini di subduzione.


Fig. 105



06.7 - COMPLESSI DI SUBDUZIONE

Le caratteristiche morfotettoniche dei margini di subduzione sono conosciute con nomi diversi e le più comuni sono quelle annotate nelle figg. A, B e C. collegate.

Non tutte le morfostrutture illustrate delle figure sono presenti in uno stesso margine convergente. Tale presenza dipende dalle caratteristiche della zolla in subduzione. Diversità nella morfologia si osservano non soltanto tra  differenti margini di subduzione, ma anche all’interno di un singolo sistema ed in parte sono  funzione della posizione del margine. Molte delle strutture che si sviluppano nella zolla in sovrapposizione sono dipendenti dalle caratteristiche della parte della litosfera subdotta. 

Margini di tipo Marianne: ambedue le zolle sono costituite da litosfera oceanica; questo tipo di margine è caratterizzato da una fossa oceanica profonda e da un arco vulcanico;

 Fig. 106



Fig.107

Fig. 108

Fig. 109



Fig. 110



  06.7.1 - Comportamento della Zolla in Subduzione

Quando una zolla sprofonda per effetto della gravità va a giustapporsi alle rocce dell’astenosfera caratterizzate da temperatura notevolmente più alta; tale zolla di riscalda ad una velocità che è funzione della propria conduttività termica. Sulla base di relazioni, definite empiricamente, si osserva che l’aumento di temperatura determina, dopo circa 10 milioni di anni, un comportamento della zolla diverso da quello di un corpo fragile. Gli studi dell’arrivo del primo impulso d’onda dei terremoti in una zolla in subduzione indicano una distribuzione sistematica nello spazio dei meccanismi distensivi e di quelli compressivi (Fig. 114).

La zolla che sprofonda è in stato di compressione, ma la variazione verso il basso della distribuzione locale degli sforzi fa si che in alcune regioni si manifestino sforzi deviatori di tipo tensile.

Quando la litosfera “fredda” va in subduzione, la distribuzione delle isoterme del mantello superiore si modifica. La distribuzione termica ottenuta dai modelli è comparabile con i valori del flusso di calore osservati nei margini di subduzione.

I valori di flusso termico più bassi in assoluto sono stati misurati nelle fosse oceaniche e sul lato esterno dell’arco che borda le fosse stesse (dove si trova il complesso di accrezione); mentre nelle regioni di retroarco e nella parte posteriore (interna) dell’arco magmatico si hanno valori molto più alti.

La corrispondenza areale tra l’aumento di temperatura nell’astenosfera e nella soprastante zona di retroarco fa pensare che il meccanismo di espansione della zolla di retroarco sia probabilmente legato alla presenza di una litosfera indebolita per cause termiche.

L’esistenza di un aumento della temperatura nella “zona di triangolo” che è un’area del mantello delimitata in basso dalla zolla litosferica che sprofonda ed in alto dalla zolla geometricamente sovrastante, sembrerebbe provocata dal calore di frizione e da una risalita dell’astenosfera.

E’ importante ricordare che la distribuzione delle isoterme è sempre ricavata da un determinato modello e non viene stabilita da dati dipendenti.

Fig. 111



  06.7.2 - Angolo di Subduzione e dimensione del sistema di Arco

L’angolo che una zolla in subduzione forma con la superficie della Terra, detto angolo di subduzione determina le dimensioni trasversali del sistema di arco nella zolla sovrastante. Infatti con l’aumentare di quest’angolo diminuisce l’ampiezza dell’arco magmatico e dell’intervallo arco-fossa e viceversa (Fig. 112)

 

 

Fig. 112

Tra i vari parametri che determinano l’angolo di subduzione ricordiamo:

1) l’età della zolla che viene subdotta: la litosfera oceanica relativamente recente (più recente di 50 Ma) aumenta la sua capacità di “galleggiamento” grazie al suo stato termico e tende ad opporre resistenza alla subduzione pertanto una litosfera recente ridurrà l’angolo di subduzione;

2) il comportamento delle dorsali e dei  plateau asismici: queste aree oceaniche, topograficamente elevate, hanno densità inferiore a quella della litosfera oceanica circostante. Quando esse vengono “inghiottite” nella zona di subduzione possono anche indurre deformazioni di tipo distensivo nella zolla di sovrascorrimento e/o indurre l’angolo della subduzione nel momento in cui vengono subdotte;

3) la velocità relativa di zolle convergenti: se la velocità relativa di due zolle convergenti è bassa la componente di sprofondamento della litosfera in subduzione dispone di più tempo per rendere più inclinato l’angolo di subduzione;

4) la velocità assoluta di zolle convergenti: se la zolla in sovrascorrimento si muove in direzione della fossa è previsto un basso angolo di subduzione, mentre se il movimento della zolla in sovrascorrimento non è nella direzione della fossa, l’angolo di subduzione sarà maggiore.

Le discontinuità nelle zolle litosferiche oceaniche, come ad esempio preesistenti faglie trasformi, possono produrre variazioni dell’angolo di subduzione lungo la direzione del  margine che sprofonda. Se il vettore della convergenza relativa (o velocità relativa) delle due zolle è parallelo alla discontinuità l’effetto verrà conservato nella zolla in sovrascorrimento e sarà rappresentato da un brusco cambiamento tra una zona di arco ristretto (fascia che incombe sulla zolla che va in subduzione) ed una zona d’arco molto più ampia.

L’intervallo arco-fossa dovrebbe mostrare una corrispondente variazione in ampiezza. L’allineamento fortuito della discontinuità della zolla e del vettore di convergenza relativo è comunque molto improbabile.

Nel caso generale (Fig. 112) l’intersezione di una qualsiasi discontinuità nella zolla con la zona di subduzione migrerà lungo il margine di questa provocando lenti cambiamenti nell’ampiezza dell’intervallo arco-fossa e nella forma e posizione dell’arco magmatico.

 

 

Fig. 113 :Distribuzione delle isoterme e del limite di fase in un’estenosfera in cui è sprofondata una zolla di litosfera fredda. Profondità e distanze in Km.

 

 

<!-

 

 

Fig. 113 A

 


 

Fig. 114

 

 

 

 

Fig. 115

 

 

 

 

 

 

Fig. 116: Sezione verticale, normale alla direzione di un arco insulare. Essa mostra schematicamente l’orientazione tipica di una doppia coppia di meccanismi focali dei terremoti. L’asse distensivo (frecce divergenti,in alto) è il risultato della flessura che si determina quando la litosfera si curva lungo l’asse della fossa. Il regime compressivo (frecce convergenti tra zero e circa 200 Km di profondità) è il risultato della resistenza alla subduzione che si origina al contatto tra la zolla superiore e quella inferiore, nel settore non curvato dalla zona in subduzione. Il regime distensivo (frecce divergenti a circa 200 Km) è probabilmente dovuto ad un locale aumento della velocità di subduzione quando le parti inferiori della zolla passano attraverso la fase (petrografica) di transizione a 320 Km. Le parti superiori della zolla in subduzione sono meno dense e non vanno di pari passo con le porzioni inferiori. Il regime compressivo sotto i 200 Km è prodotto dalla resistenza opposta dalla astenosfera allo sprofondamento della litosfera (modificato da Isacks et al., 1968).

 

                                                               

 

  

 

Fig. 117

 

 

 

 



  06.7.3 - Morfologia della Zolla in sovrapposizione: Tipi di Arco

La morfologia della zolla che si sovrappone dipende, lungo un margine in subduzione, dalla composizione della litosfera (oceanica e continentale).

I margini lungo i quali si “scontrano” due zolle di litosfera oceanica (margini di tipo Marianne o Tonga-Kermadec)  sono generalmente caratterizzati da un arco vulcanico di isole che risiede in un’ area di plateau intraoceanica formatasi durante l’attività vulcanica dell’arco.

Il vulcanismo è caratterizzato da basalti con costituenti minori tipici delle associazioni calcalcaline (andesiti). Le rocce andesiti che si formano preferenzialmente nei segmenti dell’arco dominati da forti tensioni di tipo compressivo.

In queste aree i magmi primitivi derivati dal mantello sono immagazzinati il livelli crostali intermedi permettendo così la formazione di andesiti per cristallizzazione frazionata e/o per parziale fusione crostale. Nelle zone in cui lo stato di tensione è al di sotto dei valori di soglia della compressione, o in cui addirittura esistono fasi di distensione, le rocce dominanti sono i basalti.

Gli archi intraoceanici sono associati con complessi di accrezione (pile di scaglie embriciate) ben sviluppati e con archi esterni solo quando vi sono in prossimità importanti aree di alimentazione di clasti derivanti dall’erosione di zone continentali.

Quando invece l’arco di trova isolato in un bacino oceanico si formano fosse topograficamente profonde sul lato della catena vulcanica che guarda verso l’oceano. In alcuni casi l’arco è costituito da una catena di isole ed è dislocato da faglie trascorrenti orientate normalmente al margine di zolla. Lo spostamento differenziale di blocchi lungo faglie trascorrenti può essere all’origine della forma arcuata dei margini. In alternativa la forma arcuata dell’arco può essere il risultato di subduzione di una zolla non planare (sferica). I sistemi di faglie trascorrenti, orientati parallelamente ai margini delle zolle, sono abbastanza comuni e caratteristici delle regioni di avanarco, di arco e di retroarco.

I bacini di retroarco o bacini marginali sono in gran parte delle strutture di distensione originatesi in un regime di espansione. Contrariamente a quanto si verifica nella dorsale medio-oceanica, in queste zone non si sviluppano anomalie magnetiche distribuite sistematicamente. Questo rileva una differenza fondamentale nei meccanismi di espansione; l’espansione della zona di retroarco può realizzarsi su aree molto estese senza essere caratterizzata da andamenti lineari e/o localizzata nella parte centrale della lacerazione crostale.

I margini di subduzione lungo i quali viene deformata la litosfera  continentale (margini di tipo andino) sono caratterizzati da catene vulcaniche subaeree con notevole rilievo topografico (Fig. 118). Da un punto di vista composizionale le rocce vulcaniche sono molto più varie di quelle che troviamo in un ambiente di arco oceanico, ma i basalti risultano ancora la componente dominante. Sono frequenti le serie di rocce calcalcaline, andesiti che e in minor misura riolitiche, mentre è altamente variabile l’abbondanza relativa dei componenti ignei lungo tutto il margine di zolla.

Lo sviluppo del vulcanismo andesitico e riolitico si intensifica nelle regioni dell’arco in fase di compressione e/o nelle regioni con crosta continentale ispessita.

Gli archi continentali sono normalmente associati a grandi complessi di accrezione (accretionary prisms); la vicinanza di un’area di alimentazione e di un ben organizzato sistema di drenaggio sono le condizioni necessarie per lo sviluppo di un arco marginale (esterno).

In molti casi (si veda l’esempio dell’arco andino del Sud America) il drenaggio continentale diversamente orientato e la quantità di sedimenti che si riserva nella fossa non sono sufficienti per costruire un complesso di accrezione. La segmentazione della zolla sovrastante operata da faglie trascorrenti, normali alla fossa oceanica, non risulta aver luogo in ambiente continentale; sono invece segnalati sistemi di faglie trascorrenti parallele alla fossa oceanica.

Le regioni di retroarco topograficamente elevate, sono costituite da catene a pieghe e falde formatesi durante un regime compressivo e da bacini di aree sollevate (basin and renge) prodottisi durante un regime distensivo.

Lo stato delle tensioni nella regione di retroarco è controllato in gran parte dal movimento assoluto della zona sovrastante ed in misura minore da quei parametri che determinano l’angolo di subduzione della zolla discendente. Anche se un margine convergente è in totale stato di compressione, nella regione di retroarco sono frequenti bacini di distensione; essi vengono ritenuti come il prodotto di un sistema nel quale la velocità assoluta della zolla in sovrascorrimento ha una componente orientata in senso contrario rispetto alla fossa o di un sistema nel quale si esplica un lento movimento verso la fossa oceanica.

Così, in questo modello si inquadra la posizione della fossa, che una volta formatasi, dipende fondamentalmente dall’elevata viscosità dell’astenosfera che non le consente di subire rapidi cambiamente.

Gli altri parametri da cui dipende l’angolo di subduzione possono accentuare o moderare le condizioni determinate dal movimento assoluto della zolla superiore. Quando quest’ultima si muove  (in velocità assoluta) in senso opposto o lentamente verso la fossa, una “forza di suzione” agirà sul lato anteriore dell’arco per impedire il formarsi di una interruzione tra le zolle convergenti.

Questo processo darà luogo ad una fase distensiva nella zolla soprastante  per colmare l’interruzione che comincia a formarsi. Di converso, quando il movimento assoluto della zolla superiore è fortemente orientato verso la fossa si realizzerà una sovrapposizione (al di sopra della fossa) che porterà ad una fase di compressione e quindi un raccorciamento della zolla superiore (Fig. 117).

 

 

Fig. 118

 

Fig. 119

 

Non tutte le morfostrutture illustrate nelle figure sono presenti in uno stesso margine convergente. Tale presenza dipende dalle caratteristiche della zona di subduzione. Diversità nella morfologia si osservano non soltanto tra differenti margini di subduzione, ma anche all’interno di un singolo sistema e in parte sono funzione della posizione del margine. Molte delle strutture che si sviluppano nella zolla in sovrapposizione sono dipendenti dalle caratteristiche della parte litosferica subdotta.

I margini lungo i quali si “scontrano” due zolle di litosfera oceanica (margini di tipo Marianne o Tonga-Kermadec) sono generalmente caratterizzate da un arco vulcanico di isole che risiede in un’area di plateau (piattaforma) intraoceanico formatasi durante l’attività vulcanica dell’arco. Il vulcanismo è caratterizzato da basalti con costituenti minori tipici delle associazioni calcalcaline (andesiti). Gli archi intraoceanici sono associati a complessi di accrezione (pile di scaglie embriciate) ben sviluppati e caratterizzati dalla presenza di archi esterni che si formano solo quando vi sono in prossimità importanti aree di alimentazione di clasti derivati dall’erosione di zone continentali. In alcuni casi l’arco è costituito da una catena di isole ed è dislocato da faglie trascorrenti orientate normalmente al margine di zolla. Lo spostamento differenziale di blocchi lungo faglie trascorrenti può essere all’origine della forma arcuata dei margini attivi (fig. 119).

 

Margini di tipo Ande: la zolla soprastante consiste di litosfera continentale mentre la zolla in subduzione è oceanica; questo margine è caratterizzato da una fossa, ma invece dell’arco vulcanico troviamo un arco magmatico continentale.

Fig. 120

 

Fig. 121

 

 

MARGINI DI COLLISIONE

I margini di collisione, in cui viene subdotta litosfera continentale, rappresentano lo stadio finale dello sviluppo di molti margini convergenti.

Margini di tipo Alpino-Himalayano: ambedue le zolle sono di litosfera continentale e quando una delle due tende a sottoscorrere, la proprietà di galleggiamento della stessa zolla ne contrasta la subduzione; queste aree di collisione si caratterizzano per l’estrema deformazione e lo sviluppo di estese catene montuose e di sovrascorrimenti.

 

Fig. 122

 

Il sistema collisionale esprime la fase finale del processo di subduzione e porta in ultimo ad una riorganizzazione del margine di zolla. La morfologia di un margine di collisione è regolata dalla natura composizionale della zolla in sovrascorrimento. Quando ambedue le zolle sono costituite da litosfera continentale (ad es. margine collisionale di tipo Alpino-Himalayano) si produce una zona di estremo raccorciamento. In questa configurazione, la parziale subduzione di litosfera continentale si realizza con un ricoprimento del margine passivo in subduzione da parte di un arco continentale.

Fig. 122 A

 

La subduzione del margine passivo determina la formazione di una struttura a falde (catena) analoga a quella che si forma in un complesso di accrezione.

 

 

Fig. 122 B

 

 

Fig. 122 C

 

 

   

Fig. 123

 

Al suo interno la zona deformata non mostra generalmente la stessa morfologia di strutture descritta precedentemente per i margini di subduzione di tipo B. Questa differenza è determinata dal tipo di sedimenti coinvolti nella deformazione e dalla natura della zolla subdotta. Il complesso di accrezione di un margine di subduzione di tipo B è generalmente costituito da sedimenti di bacino oceanico poco potenti e comunemente privi di continuità laterale che si comportano, durante la deformazione, come rocce incompetenti dando perciò luogo a falde epidermiche con una intensa deformazione interna. Le rocce sedimentarie dei margini passivi, invece, costituiscono corpi sedimentari molto più potenti che si comportano come rocce competenti durante il raccorciamento, formando unità tettoniche in falde più spesse e con una blanda deformazione interna. Il grado di deformazione della zolla sovrastante aumenta man mano che vengono subdotte le coperture sedimentarie depositatesi sulla crosta transizionale del margine passivo (aumenta quindi in relazione alla subduzione di crosta continentale assottigliata).

L’evoluzione del processo di subduzione viene contrastato dalle spinte al “galleggiamento” quando ha inizio il processo di subduzione della litosfera continentale relativamente non deformata. Per spiegare il processo continuo di sottoscorrimento di litosfera continentale (valutato almeno in 300 Km), viene invocato un meccanismo di delaminazione della litosfera continentale durante il quale vengono strappate alcune scaglie di crosta superiore dalla sottostante litosfera. L’astenosfera calda migra nelle zone di delaminazione quando gli strati mafici (crosta inferiore e mantello superiore) della litosfera affondano. Il proseguimento di questo processo porta ad un progressivo appiattimento della zona di subduzione e ad un raddoppiamento dello spessore crostale.

Nel corso della subduzione di litosfera continentale, la zolla sovrastante subisce un forte raccorciamento nella regione di retroarco. L’arco vulcanico cessa l’attività già agli inizi della fase collisionale di deformazione, quando cioè il suo apparato di eruzione viene distrutto dalla spessa zolla continentale in subduzione. L’orogene formatosi nella zolla superiore può avere un’ampiezza dell’ordine di 2000-3000 Km, e può contenere un insieme di strutture che vanno dai sovrascorrimenti alle faglie trascorrenti fino ai regimi distensivi.

Durante la collisione Alpino-Himalayana vaste regioni furono soggette ad un poderoso metamorfismo termo-dinamico caratterizzato da alta temperatura ed alta pressione.

Fig. 124

Da quanto abbiamo visto le catene montuose rappresentano il prodotto di processi di subduzione lungo i margini di zolla convergenti. Catene a pieghe e sovrascorrimenti hanno un’origine compressiva e sono costituiti da corpi sedimentari e da scaglie del sottostante basamento cristallino, rispettivamente asportati e distaccati dalla zolla in subduzione. Le numerose osservazioni fatte nelle catene montuose si inseriscono molto bene negli schemi della tettonica a zolla; tuttavia malgrado le brillanti anticipazioni (vedi geologi alpini) la tettonica a zolle non è facilmente deducibile dai soli dati provenienti dalle ricerche sulle catene montuose. L’ipotesi della tettonica a zolle rimane infatti ancorata soprattutto alle osservazioni geofisiche e della Geologia marina. La spiegazione delle catene montuose, nel quadro della tettonica a zolle, non è quindi tanto ovvia come potrebbe sembrare. Gran parte delle strutture che oggi sono presenti nelle catene montuose suggeriscono una diffusa “mobilizzazione” e “duttilizzazione” della parte superiore (crosta e sedimenti) della litosfera, mentre la restante parte della litosfera è subdotta in un regime fragile. Cioè mentre la litosfera continentale sottostante ai cratoni rimane rigida, la litosfera continentale sottostante alle catene montuose è stata “rimobilizzata” in modo passivo durante i processi orogenici.

 

 

MARGINI CONSERVATIVI

La direzione del movimento di ciascuna delle zolle è parallela al margine; per cui lungo il margine non si verificano processi di convergenza o divergenza. Le faglie trasformi sono manifestazione dei margini conservativi quando si trovano a connettere margini divergenti e convergenti.

 

Fig. 125

 

                                             Fig. 126 :  Faglia di San Andreas


Fig. 127: Schema illustrante tre tipi di faglie trasformi che si sviluppano lungo margine di zolla conservativi.

 

Fig. 128


Fig. 129: Il mare delle Andamane costituisce un bacino di retroarco collegato a movimenti obliqui. T= Settore dislocato verso l’osservatore; A= Settore dislocato in senso opposto.

 

 

Fig. 130: Sezione sismica migrata di una zona di tettonica trascorrente nel bacino di Ardmore (Oklahoma). Si noti la geometria della caratteristica struttura trascorrente (Flower structure o Palm tree structure). I terreni dislocati appartengono al Mississipiano (Msy, Msp) e all’ Ordoviciano (Ooc). T= Settore dislocato verso l’osservatorio; A= Settore dislocato in senso opposto. (modific. da Bally, Seismic expression….., 1983).