fig. 6.1 – Fronte Appenninico con l’Avanfossa (Modello Strutturale d’Italia).
Gli Appennini mostrano una struttura a falde che è molto simile a quella siciliana. Nei 4 settori distinti (Campania - Lucania e Lazio – Abruzzi che formano gli Appennini meridionali, Umbria – Marche – gli Appennini centrali e Liguria – Toscana, che formano gli Appennini settentrionali) affiorano diverse unità stratigrafico-strutturali (fig. 6.1 – 6.2). Queste ultime si continuano al di sotto della Pianura Padana (fig. 6.2). Alcune delle Unità stratigrafiche, appartengono ai domini interni (“oceanici” o “quasi oceanici”) e si trovano nella posizione strutturale più alta nella pila delle falde. Le falde interne sono conosciute sia negli Appennini Meridionali che Settentrionali (Falde Liguridi e Sicilidi di Ogniben 1969) e, anche se furono originate come falde già durante il Cretaceo superiore-/Terziario inferiore, esse hanno raggiunto l’attuale posizione tettonica durante il Terziario superiore. Le unità stratigrafico-strutturali sono state spesso divise durante la loro deformazione da faglie trascorrenti e successivamente spostate da faglie normali nello stadio di sollevamento, individuando così singoli blocchi cinematici. L'avanpaese è affiorante soltanto negli Appennini Meridionali (Apulia), mentre nel Nord è sepolto nel Mare Adriatico. Sezioni sismiche (Colombi et al. 1973, Cassinis et a., 2000) mostrano sotto il lato Tirrenico della Penisola (Toscana, Campania, Calabria) delle inversioni di velocità (fig. 6.4) nella parte media ed inferiore della crosta che indicano una complessa tettonica compressiva anche a grande profondità.
fig. 6.2 – Principali settori dell’Appennino e limiti di confine.
]
fig. 6.3
fig. 6.4
fig. 6.5- Comparazione tra le successioni affioranti nell’Appennino settentrionale e meridionale.
fig. 6.6 -Stratigrafia del settore centro – settentrionale dell’Appennino.
06.2 - SISTEMA CATENA AVANFOSSA E L’AVAMPAESE
Sotto la catena la profondità della Moho si trova a circa 40-60 Km. (Colombi et al. 1973; Giese e Morelli 1976). Verso l’avampaese sia il rilievo topografico che l’entità dell’ispessimento tettonico decrescono. Secondo alcuni A.A. scivolamenti gravitazionali di età Pleistocenica spessi fino ad alcuni Km hanno preso posto negli ultimi stadi di deformazione (sollevamento) negli Appennini Meridionali ed in Sicilia. Le masse alloctone si trovano dentro l’avanfossa ricoperte da sedimenti marini del Pleistocene inferiore.
06.2.1 - Avanfossa
L’avanfossa affiora quasi in continuità dagli Abruzzi alla Sicilia; essa consiste di sedimenti clastici marini del Pliocene e del Quaternario derivanti quasi interamente dallo smantellamento delle falde Appenniniche e Siciliane vigorosamente sollevate. Questi sedimenti marini (coperti in discordanza da una sottile coltre di sedimenti continentali Plio-Quaternari) hanno un ispessimento che va da 2 Km a più di 6 Km tra Ancona e Chieti (sinclinale di Pescara). Secondo alcuni A.A. conterrebbero Olistostromi, sedimenti di spessore considerevole probabilmente staccatisi dal fronte della catena montuosa e messi in posto per gravità.
06.2.2 - Catena
Il sistema a falde forma in questa catena due principali archi separati da una linea trasversale (linea Ancona-Anzio, vedi fig. 6.1). Una divisione degli Appennini in due segmenti è generalmente accettata (Ogniben 1976, Acc. Nazionale dei Lincei 1973). La linea Ancona-Anzio, un sovrascorrimento obliquo che corre approssimativamente da Nord a Sud, separa un segmento occidentale (Appennini Settentrionali) da uno orientale (Appennini meridionali). La linea del Sangineto (una faglia sinistra, secondo Amodio Morelli et al. 1976; (un vasto fronte di sovrascorrimento, secondo Ortolani, 1979), segna, il limite meridionale dell’Appennino che passa sotto l’arco Calabro per affiorare di nuovo nella Sicilia occidentale ad Ovest del fronte di sovrascorrimento della falda Calabro-Peloritana (linea di Taormina). A Nord gli Appennini si fondono con le Alpi occidentali e un limite convenzionale di separazione viene assunto vicino Genova dalla linea Sestri-Voltaggio, Fig. 6.5).
Nel lato concavo degli archi Appenninici una estesa attività vulcanica si è verificata dal Terziario sup. con le principali fasi di sollevamento che raggiungono più di 6 Km (fino ad un massimo di 8 Km) di spostamento verticale (Pieri e Groppi, 1976). L’apertura ed oceanizzazione del Mare Tirreno si sviluppò durante lo stesso intervallo di tempo (Selli e Fabbri, 1971).
06.3 - APPENNINO CENTRO-SETTENTRIONALE
fig. 6.8a – Fronte delle principali unità tettoniche dell’Appennino settentrionale. Legenda: 1) fronte della Falda Toscana; 2 ) fronte del Cervarola; 3) fronte dll’ubro-marchide; in puntinato: aree di affiornamento della Successione Toscana Metamorfica e del suo basamento paleozoico (la Dorsale Medio Toscana) (modif. da Dallan Nardi & Nardi, 1974)
Tanto gli Appennini Settentrionali quanto gli Appennini Meridionali e la Sicilia orientale in minor misura, sono caratterizzati da falde costituite prevalentemente da depositi clastici di età Cretaceo – Terziaria e subordinatamente da Ofioliti, rocce cristalline, sia plutoniche che metamorfiche, e altri tipi di sedimenti mesozoici di provenienza “oceanica”.
Queste falde mostrano il più alto grado di trasporto tettonico e spesso una storia tettonica molto complessa, comprendente perfino episodi di tardo retroscorrimento (Miocene) durante lo stadio di collisione continentale, che deformò il Margine Appenninico. Le unità interne sovrascorrono sulle Unità Appenniniche alla fine dell’Oligocene-Miocene inferiore e affiorano nella parte concava degli Appennini Settentrionali e su entrambi i lati dell’arco Calabro e nell’Italia meridionale, dalla falda del Cilento fino alla Sicilia orientale.
Negli Appennini Settentrionali le unità “interne” (falde Liguridi e Subliguridi) affiorano vastamente, sia come falde o olistostromi intercalati dentro il flysch e successivamente dentro depositi tardo orogenici (molasse).
Talvolta esse raggiunsero l’avanfossa come frane gravitative e attraverso diverse fasi, (frana di Val Marecchia e dell’Aventino – Sangro).
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fig. 6.9 – Carta strutturale dell’Appennino settentrionale con le relative sezioni.
F
Fig. 6.10
fig. 6.11
fig. 6.12
06.3.2.1 - Unità di Canetolo o Alberese (Subliguride)
Secondo alcuni autori essi corrispondono alle unità Sicilidi degli Appennini meridionali (Ogniben, 1969). Una diversa opinione è espressa da Elter e Scandone (1980) che correlano le Sicilidi degli Appennini meridionali con il cosiddetto Flysch ad Elmintoidi delle Liguridi interne. Le sequenze non sono sempre complete, mancano di livelli giurassici e consistono di argilliti e sabbie (Cretaceo sup. (?) – Eocene) passanti verso l’alto a sabbie e conglomerati di età Terziario inf. (spessore totale da poche decine ad alcune centinaia di metri). La posizione originale delle unità dell’ Alberese è ritenuta intermedia tra le Liguridi e i domini della Falda Toscana. La messa in posto sopra la falda Toscana è ascrivibile all’Oligocene sup. (?) – Aquitaniano (Miocene medio?).
06.3.2.2 - Unità Liguridi
Sono generalmente divise in Liguridi “esterne” (strutturalmente inferiori) e “interne” (strutturalmente più alte) separate dalle ofioliti della catena del Bracco (Elter, 1972, 1973).
Le Liguridi esterne si estendono dall’ipotetica ruga Insubrica (sensu geosinclinale), che divideva il dominio Liguride dai domini Subliguride (o Canetolo o Alberese) e Toscano, fino alla catena del Bracco. Essi sono costituiti da un “complesso basale” di età Giura sup. – Cretaceo sup., che passa a un flysch calcareo di età Cretaceo sup. – Paleocene. Il “complesso basale” è composto (dal basso verso l’alto) dalle seguenti formazioni:
- Diaspri e Calcari a Calpionelle (Malm – Cretaceo inf.) che hanno uno spessore ridotto e sono presenti soltanto nella zona più interna.
- Brecce con frammenti calcarei (derivanti soltanto dal Calcare a Calpionelle) e olistoliti ofiolitici, ricoperti da depositi Cretaceo – Paleocenici (Sabbie della formazione di Pontolo, Sabbie Casanova e così via).
- Le Liguridi sono stratigraficamente ricoperte da depositi terrigeni (Fm di Ranzano – Bismantova) che derivano da apporti sedimentari prodottisi durante il loro trasporto tettonico.
Le Liguridi interne hanno una sequenza in parte simile a quella delle Liguridi esterne:
- Radiolariti (“Diaspri”) e calcari a Calpionelle (Malm – Cretaceo inf.).
- Argille intercalate con calcari silicei (o “Palombini”) e con sabbie di età Titonico – Albiano (?).
- Argille di Val Lavagna (marne siltose con livelli arenaci e argille varicolori con livelli di olistostromi derivati dalla “Catena del Bracco”), di età Albiano (?) – Senoniano.
Altri depositi seguono, verso l’alto, (flysch di M. Antola, Argille del Passo di Bracco) nell’intervallo Cretaceo sup. - Paleocene. Lo spessore medio delle Liguridi Interne è di 2600-3000 metri. L’unità carbonatica dei Calcari a Calpionelle, mostra caratteri peculiari rispetto alla Maiolica Toscana ed Umbra; essa è principalmente costituita da marne.
06.3.2.3 - Unità del Bracco (U.S.S.)
Questa unità strutturale (e
paleogeografica) è costituita principalmente da ofioliti (serpentiniti, gabbri e
diabasi) e dalla loro copertura sedimentaria che include “Diaspri”, “Calcari a
Calpionelle”, “Argille Palombini” etc.
Le Ofioliti del Bracco (Liguridi) sono
tettonicamente intercalate tra le Liguridi interne ed esterne e sono
interpretate come parte di una catena oceanica originariamente situata tra i
Domini Liguridi. Le Ofioliti Liguri sono caratterizzate da un metamorfismo
molto debole o quasi assente, in contrasto con le ofioliti “Piemontesi”, che
possono essere interessate da un vario grado di metamorfismo di alta
pressione/bassa temperatura.
Mentre le ultime sono interpretate come
relative ad un fondo oceanico in subduzione, le unità Liguridi sono state messe
in relazione ad un fondo oceanico relativamente stabile, che si trovava tra le
fosse e il margine continentale interno. L’eventuale sovrapposizione tettonica
delle due unità ofiolitiche (Liguridi su quelle Piemontesi) è stata attribuita
ad alcuni processi di sovrascorrimento lungo la parete interna della fossa
nella prima fase di subduzione (Giurassico sup. ? – Cretaceo inf.).
06.3.3 - U. S. S. esterne geometricamente più alte e dislocate.
Un fronte tettonico ben sviluppato (fig.
6.8b) separa le falde Toscana e di M. Cervarola, più interne e dislocate, dalla
unite umbro-marchigiane.
a) U. S. S. della
falda Toscana.
Queste unità derivano dalla deformazione
di un dominio (Bacino Toscano), che occupava una porzione ad Ovest del dominio
Umbria-Marche. E’ accettato che la falda Toscana abbia raggiunto la sua
presente posizione sovrapponendosi al dominio Apuano (vedi prima)
nell’intervallo Miocene inf. (Aquitaniano? – Burdigaliano ) - Tortoniano.
La successione tipica
(fig. 6.13) molto simile a quella del bacino Umbro ed è costituita da: (a) più
di 1000 m di dolomiti ed evaporiti, le prime sono frequentemente brecciate
(Trias sup.); (b) pochi metri a non più di 100 m di calcari e marne grigie e
grigioscuro (Livelli a R. contorta, “Portoro” ); (c) Ammonitico rosso, (non più
di 60 m); si trova a differenti livelli, che vanno dal Sinemuriano al
Pliensbachiano inf.; (d) calcari selciferi e marne (da poche decine di metri a
più di 600 m dal Lias medio al Malm inf.): (f) da pochi metri a circa 300 m di
calcari selciferi (Maiolica di età del Malm sup. -Neoconiano); (g) alcune centinaia di metri di
argille varicolori e marne (Scaglia rossa), talvolta con selce, spesso con
intercalazioni calcarenitiche risedimentate (Cretaceo – Oligocene); (h) sabbie
torbiditiche (Macigno, Oligocene sup. – Miocene inf.).
fig. 6.13- Successione del Bacino Toscano.
b)Unità
Apuane (o “Autoctono Toscano”).
Le unità Apuane derivano da una parte
del dominio Toscano che è considerato come originariamente localizzato in una
posizione intermedia tra la falda Toscana e il Bacino Umbria-Marche. Comunque
una posizione originale sul lato interno (occidentale) del Paleo-dominio della
Falda Toscana non può fino ad ora essere esclusa.
Le rocce di questa unità affiorano a
macchia lungo la fascia di circa 200 Km. andando da La Spezia al promontorio
dell’Argentario (Fig. 6.9).
Alcune unità possono essere distinte
nella parte settentrionale (Unità di Stazzema, Massa, Pania) come nella parte
più meridionale di questa zona (Monte Pisano, Elba, Argentario). Esse si
formeranno in seguito alla deformazione nel Tortoniana (Nardi, 1976), ma
episodi precedenti probabilmente avvennero nel Miocene inf. (Aquitaniano) o
Oligocene sup. (Haccard et al. , 1972). La successione, che è spesso mancante
della sua parte superiore a causa dell’erosione, è interessata da un
metamorfismo di basso grado che si sviluppò dall’Oligocene sup. al Tortoniano.
Le unità Apuane sono considerate da alcuni A.A. più o meno radicate poiché
appaiono come le unità più profonde degli Appennini. Comunque recenti indagini
strutturali indicano che anche l’”autoctono” Toscano è stato deformato e
fagliato profondamente e ripetutamente. La successione che copre il basamento
Paleozoico (matasedimenti di basso grasso del Paleozoico sup.), è simile a
quella della falda Toscana, è piuttosto variabile e consiste di (a) circa 1000
m. di clastiti da continentali a paralici (Verrucano) passanti a circa 600-1000
m. di depositi di piattaforma Carbonatica (“Grezzoni” e “Marmi”) di età
Trias- Lias inf.; (b) circa 600 m. di
calcari selciferi (Lias) passati a circa 300 m. di calciseltiti (Marmi
Cipollini), del Dogger (in parte equivalenti ai calcari a Posidonia
dell’Umbria); (c) circa 300-400 m. di radiolariti varicolore e calcari a
crinodi selciferi (Malm - ? Cretaceo inf.); (d) circa 300-400 m. di scisti varicolori
di età Cretaceo-Eocene; (e) poche centinaia di metri di quarziti
(Pseudomacigno) del Terziario inf. (fig. 6.14).
fig. 6.14 - Successione delle Unità Apuane.
c) U. S. S. di M. Cervarola.
Queste unità, affioranti lungo un fronte
arcuato di circa 200 km (Fig. 6.8b), derivano dalla deformazione della parte
superiore della successione del dominio Toscano, dal quale è stato separato in
vari momenti.
Queste unità consistono
di “argille scagliose” passanti verso ‘alto a sabbie e argilliti rosse. Sono
sovrascorse sui terreni Oligomiocenici (Marnoso – arenacea) dal dominio Umbria
- Marche dal Serravalliano sup. (?) al Tortoniano (Giglia, 1976, 6.13).
L’Appennino settentrionale è un’area di
prevalente sedimentazione di piattaforma Carbonatica durante il Trias – Lias e
di bacino durante il Giura sup. – Cretaceo ed il Terziario inferiore. E’
evidente una forte attività tettonica nell’Oligocene superiore per le aree più
occidentali e dal Miocene superiore (Tortoniano) al Miocene) per le aree più
orientali (Umbria – Marche). La deformazione appare più recente procedendo
verso l’avanpaese.
Da quelle più esterne vengono distinte
le seguenti unità:
d)U. S. S. Umbria – Marche.
Questa unità deriva dalla deformazione
di un bacino (bacino umbro) che si sviluppò da una sequenza evaporitica e di
piattaforma Carbonatica nel Trias – Giura inf., passante verso il basso a una
sequenza continentale – clastica (Verrucano) nota soltanto dai pozzi. La
sequenza giurassico – cretacica è data da (a) circa 160-200 m. di calcari
selciferi (corniola) a volte con intercalazioni di calcareniti o marne (Lias
medio); (b) alcune decine di metri di calcari nodulari e marne (Ammonitico
Rosso, Lias sup.), passando lateralmente ad una sequenza marnosa più spessa
(Marne del Serrone); (c) calcari pelagici a molluschi (strati a Posidonia,
Dogger – Maim); (d) 60-100 m. di calcari selciferi (Scisti ad Aptici, Malm
sup.); (e) 100-200 m. di calcari selciferi bianchi (Malm sup. – Cretaceo inf.,
Maiolica); (f) 10-100 m. di calcari marnosi varicolorie marne (Marne a Fucoidi,
Aptiano – Albiano); (g) da 200 a più di 600 m. di calcari da bianchi a rosa e
rossi selciferi, (Scaglia, Cenomaniano ad Eocene medio); (h) diversi intervalli
stratigrafici (Eocene sup.-Miocene) seguono verso l’alto, caratterizzati da un
aumento dell’influsso terrigeno e talvolta raggiungono spessori notevoli (per
es. la Marnoso-Arenacea, che può superare i 300-400 m).
Verso Est la sedimentazione si sviluppa
in continuità fino al Pliocene, mentre nelle aree più occidentali del bacino è
interrotta da una deformazione che avvenne in diverse fasi dal Tortoniano sup.
al Pliocene (fig. 6.18 – 6.24).
fig. 6.15
fig. 6.16
-Evoluzione tettonica dell’Appennino
tosco-emiliano nel Miocene.
fig. 6.17– Comparazione fra schemi strutturali relativi all’Appennino
settentrionale e meridionale (Elter e Scandone, 1980).
fig. 6.25 – Schema strutturale
dell’Appennino centro- settentrionale: in viola le Unità Interne.
06.4.1 - Appennino Centrale (Fig. 6.25-6.28)
06.4.1.1 - U. S. S. esterne maggiormente dislocate
Le unità qui di seguito descritte mostrano un più alto grado di trasporto tettonico ed un’età di deformazione precedente dal Langhiano al Burdigaliano. Esse si sviluppano a Sud-Ovest di un fronte di sovrascorrimento quasi continuamente esposto (visibile) che generalmente corre dentro o parallelamente a valli intermontane simili a graben.
a)U. S. S. del Lazio
Mancano evidenze di un’estensione verso Nord-Ovest dal Bacino di Lagonegro e delle unità strutturali relative al Lazio, a Nord del Fiume Garigliano. Un gruppo piuttosto complesso di unità è qui conosciuto (Parotto e Praturlon, 1976, fig. 6.28).
b)U. S. S. del Volsci
Non è chiaro se questa unità deriva dal prolungamento della Piattaforma Carbonatica Campano – Lucana o è ancora parte della Piattaforma Carbonatica Lazio-Abruzzi (Fig. 6.32).
La sequenza è molto simile a quella già descritta per le U. S. S. di Alburno – Cervati. Soltanto la parte superiore delle Dolomie Triassiche sono note in affioramento. La deformazione si sviluppa dal Messiniano (Parotto e Praturlon, 1976); ma probabilmente è molto più antica (dal Burdigliano al Tortoniano).
06.4.1.2 - U. S .S. esterne meno dislocate.
L’Appennino meridionaledurante il Trias – Terziario inf. fu un’area
di sedimentazione di piattaforma carbonatica e di bacino.
Le unità stratigrafiche – strutturali
che formano la pila di falde, alcune originate dalla deformazione dei bacini,
altre dalla deformazione delle piattaforme carbonatiche, furono messe in posto
durante il Miocene (D’Argenio et al. 1973/76; Parotto e Praturlon 1976).
Un allineamento trasversale con andamento N-S (Linea della Maiella), la
cui natura non è ancora ben chiarita, separa due settori negli Appennini
meridionali; Lucania ad Est e Lazio – Abruzzi ad Ovest. I seguenti gruppi di
unità stratigrafiche – strutturali sono stati individuati a partire dal basso
nella pila delle falde:
-Unità del
Molise – Marsica – Gran Sasso
-Unità
Abruzzi – Campania
-Unità
Irpine.
fig. 6.26 –Sezione
composita della successione stratigrafica dell’Appennino centrale.
fig. 6.27 - Un tipico esempio di transizione piattaforma – bacino nella Maiella.
fig. 6.28 – a) Cartastrutturale lungo il profilo CROP 04
Tre unità stratigrafico – strutturali
possono essere separate in questo gruppo: l’unità di Frosolone ad est della
linea della Maiella ed a ovest di questa linea le unità di Monte Amaro
(Maiella) e del Gran Sasso – Morrone.
L’unità di Frosolone deriva dalla
deformazione di una successione bacinale (Bacino del Molise – Marsica, fig. 6.27),
in gran parte conosciuto dai dati di perforazione.
La sequenza ha possibilmente caratteri
interamente di bacino ed è formata da: (a) dolomiti selcifere, Trias (?) – Lias
passanti a (b) argille e radiolariti giurassiche con intercalazioni vulcaniche,
(c) arenarie calcaree gradate, calcilutiti e marne cretaciche –ologoceniche (?)
(d) arenarie calcareniti e siltiti di tipo flysch mioceniche. L’unità di
Frosolone si individua durante la fase tettonica del Tortoniano sup.
L’unità di M. Amaro deriva dalla
Piattaforma Carbonatica della Maiella. La sequenza Mesozoica corrisponde
all’incirca a quella rinvenuta nel Gargano. Quella terziaria differisce per il
maggiore spessore e per la maggiore completezza di termini. Questa unità si è
deformata e messa in posto nel Pliocene medio.
L’Unità del Gran Sasso – Morrone deriva
dalla deformazione della parte nord occidentale del Bacino Molise – Marsica,
parti minori della Piataforma Carbonatica Abruzzi- Campania e probabilmente da
un’estensione verso NW del bacino del Gargano (bacino Gargano – Gran Sasso). La
sequenza in parte è simile a quella descritta per l’unità di Frosolone:
comunque sono conosciute sia variazioni di facies locali che di spessori.
La deformazione si sviluppa durante il
Pliocene inferiore.
b)U. S. S. Abruzzi – Campania
Sono state individuate diverse unità in
questo gruppo su entrambi i lati della linea trasversale della Maiella:
-Unità
Matese – M. Maggiore
-Unità M.
Croce
Ad est della linea, mentre ad ovest sono
state riconosciute:
-Unità
Sirente – M. Genzane
-Unità
Velino – Meta
-Unità
Simbruini – Monte Cairo
fig. 6.30–Sezione geologica bilanciata lungo la Piattaforma
laziale-abruzzese
c) U. S. S. del Sirente – M. Grande,
Velino – Meta e Simbruini – M. Cairo.
Diverse U. S. S. sono qui descritte
insieme (basate su dati di Praturlon e Parotto, 1976). Esse derivano
soprattutto dalla prolungazione verso Ovest della linea Pescara – Gaeta della
Piattaforma Carbonatica Abruzzi – Campania, le cui successioni possono essere
usate per confronto. Dalla più esterna (più bassa) alla più interna (più alta)
le unità sono:
U. S. S. Sirente – M. Grande: include il margine nord – orientale e
le parti interne della Piattaforma Carbonatica Abruzzi – Campania.
U. S. S. Velino – Meta: include il margine orientale e le
parti interne della piattaforma Carbonatica Abruzzi – Campania a Noed-Ovest
della Valle del Liri (Val di Roveto).
U. S. S. Simbruini – M. Cairo: include le parti interne della
piattaforma Carbonatica Abruzzi – campania a Sud-Ovest della Val di Roveto.
fig. 6.32 – Successione della Piattaforma
Carbonatica abruzzese-campana.
.
fig. 6.34 – Successione del Bacino
Molisano.
06.5 - APPENNINO MERIDIONALE
fig. 6.35
06.5.1 - Unità Interne
a)
Frido
Poche centinaia di metri di argille
leggermente metamorfosate, calcareniti e calcilutiti del Cretaceo, con
olistostromi ofiolitici.
Essa giace sotto la U. S. S. del Cilento
che chiaramente sovrascorre la U. S. S. di Alburno – Cervati.
b)
Sicilidi
Queste unità affiorano in modo
sparso negli Appennini Meridionali, anche perché hanno subito diverse fasi
tettoniche (Burdigaliano, Serravaliano, Tortoniano, Messiniano e Pliocene inf.)
che le hanno spostate verso Est, disarticolando le loro sequenze molto spesso
mostrano una struttura caotica e appaiono messe in posto come corpi
olistostromici in U. S. S. più giovani. Una sequenza completa ovviamente non
affiora, ma è possibile ricostruire da diverse sezioni una successione di 300 m
di spessore (Aptiano – Oligocene) di sabbie conglomerati e argille varicolori.
c)
Cilento
Questa unità è caratterizzata da più di
4600 m di spessore, di una sequenza clastica che in età si estende dal Cretaceo
inf. (Aptiano?) all’Oligocene. Argille nere, silt e marne, con intercalazioni
conglomeratiche sono i tipi di rocce principali. Durante la fase Burdigaliana
le unità di Cilento - Frido sovrascorsero sulle U. S. S. di Alburno – Cervati.
fig. 6.36
06.5.2 - Unità Esterne più deformate
a)U. S. S. di Lagonegro.
Due unità sono state riconosciute:
un’unità superiore ed una inferiore. La prima corrisponde alla parte assiale di
un bacino (Bacino di Lagonegro) l’ultima al suo margine occidentale (Fig. 6.39).
La sequenza dell’unità inferiore di Lagonegro è formata da (a) calcari
selciferi triassici (b) radiolariti giurassiche, (c) argilliti e calcari
silicei del Cretaceo e (d) marne e argille e calcareniti del Terziario
inferiore. Lo spessore è più di 1000 m.; la deformazione iniziò durante il
Tortoniano.
La successione dell’Unità S.S. superiore
di Lagonegro è formata da arenarie siltiti e conglomerati con intercalazioni di
calcare orgnogeno, del Permiano inf.- Trias; dal Trias sup. mostra buone
analogie con l’unità inferiore, eccetto per la più spessa intercalazione di
calcareniti e calciruditi risedimentate. Lo spessore supera i 1000 m., la
deformazione inizia dal Burdigaliano (fig. 6.37-6.38).
fig. 6.37a – Successione del Bacino di
Lagonegro.
fig. 6.37b – Successione stratigrafica
della Piattaforma campano-lucana.
fig. 6.38
fig. 6.39
Fig. 6.40
Fig. 6.41
Fig. 6.42
fig. 6.43 - Schema evolutivo dell’Appennino meridionale attraverso la
Piattaforma Campano-Lucana, il Bacino Lagonegrese e la Piattaforma Apula
Apennine crustal section
fig. 6.44
Fig. 6.45
b)U.
S. S. Campano – Lucana.
Le tre principali unità individuate
finora:
U. S. S. di Foraporta – Maddalena,
Alburno – Cervati e Bulgheria – Verbicaro. Derivano dalla deformazione di una Piattaforma Carbonatica (Piattaforma
Carbonatica Campano-Lucana equiv.).
U. S. S.Bulgheria – Verbicaro. Questa unità è formata dalla parte interna della piattaforma carbonatica
e si individua soltanto durante la fase tettonica del Tortoniano. La sequenza è
interamente carbonatica eccetto la parte superiore che consiste di depositi
terrigeni.
U. S. S. Alburno – Cervati. Deriva dal corpo principale della
Piattaforma Panormide Carbonatica (Fig. 6.18). Il suo spessore raggiunge quasi
6000 m. La sequenza è fatta da alcune centinaia di metri di siltiti, erenarie e
conglomerati con intercalazioni carbonatiche organogene di età Trias – medio
(Calabria settentrionale) da circa 1600 m. di dolomie del trias sup. e da circa
3000 m. di calcari e dolomie Giura – Cretacee. Calcareniti del Miocene
inferiore seguono in discordanza verso l’alto e rapidamente passano a siltiti
ed arenarie turbiditiche dell’Aquitaniano-Burdigaliano. La deformazione prende
posto durante la fase tettonica Burdigaliana.
U. S. S. Monte Faraporta – Monti della
Maddalena. Questa unità
deriva dalla deformazione del lato “esterno” della Piattaforma Carbonatica
Campano – Lucana. Le sequenze sono variabili sia negli spessori (da poche
decine a circa 2000 m.) e nella litologia, sebbene le rocce siano
prevalentemente carbonatiche. Sono state riconosciute diverse lacune
stratigrafiche dal Giura al Miocene (sub - unità dei Monti della Maddalena)
mentre in altre sequenze (sub – unità del M. Faraporta) sono conosciute argille
nere e calcareniti risedimentate (Lias – Dogger). Dall’Aquitaniano si
sviluppano depositi terrigeni (M. della Maddalena). La deformazione avvenne
durante il Burdigaliano.
06.5.3 - Unita’ Esterne meno dislocate
U. S. S. Matese – M. Maggiore e M.
Croce.
L’unità Matese – M. Maggiore deriva dalla
deformazione di una Piattaforma Carbonatica (la Piattaforma Carbonatica Abruzzi
– Campania). La sezione affiorante è quasi interamente formata carbonati
(dolomie triassiche e calcari giura – cretacei). Carbonati organogeni
burdigaliani – serravaliani giacciono in discordanza su calcari cretacei e
passano verso l’alto ad arenarie e siltiti turbiditici di età Tortoniana. Il
massimo spessore supera i 3.600 m; sono note due lacune principali: Cenomaniano
medio e Paleogene. L’età della deformazione è il Tortoniano sup.
U. S. S. di M. Croce.
Affiora soltanto nella finestra
tettonica di Campagna. Questa unità è considerata derivata dal margine interno
della Piattaforma Carbonatica Abruzzi – Campania. Le rocce sono soprattutto
carbonatiche (Trias Burdigaliano); marne serravalliane e sabbie seguono verso
l’alto. Lo spessore raggiunge diverse centinaia di metri. La deformazione di
questa unità si sviluppa durante la fase tettonica Tortoniana.
U. S. S. Irpine.
Le Irpinidi, (Pescatore 1978)
costituiscono diverse unità (individuate ma ancora non completamente mappate)
derivate durante il Burdigaliano-Tortonino da un bacino che si sviluppa durante
la deformazione Appenninica (Bacino dell’Irpinia). Queste unità affiorano dalla
Campania alla Lucania lungo una fascia lunga circa 200 Km.
fig. 6.47
06.6 - L’AVAMPAESE APULO
Negli Appennini l’avampaese affiora
nelle Murge e nel Gargano (Puglia, fig. 6.48). Questa è un’area stabile con una
crosta continentale di spessore normale (Moho a circa 32 Km) coperta da 6 Km di
evaporiti e carbonati neritici. Questi ultimi passano gradualmente e
lateralmente a facies di bacino carbonatico sulla scarpata orientale del
Gargano. Le Puglie sono fagliate verso ovest e verso NW, sotto il fronte
Appenninico (sezione Lazio-Abruzzo).
a)
b)
fig. 6.48– a) Appennino meridionale: sistema avanfossa
– avanpaese pugliese; b) Rialzo periferico nell’avanpaese pugliese (da Ricchetti e Mongelli, 1981).
fig.
6.49 – Successione stratigrafica della Piattaforma Apula.
fig. 6.50
fig. 6.51 – Rialzo periferico nella Puglia
fig. 6.52
fig. 6.53
06.7 - EVOLUZIONE PALEOTETTONICA DELL’APPENNINO
Gli Appennini
propriamente detti occupano la maggior parte della penisola Italiana (vedi
figg. 6.1 - 6.3), dalla Calabria settentrionale fino a Genova e Torino. La
catena che ha una vergenza tettonica verso nord-est, limita il mar Tirreno ed è
orlata verso nord-est dall’avanfossa molassica. Quest’ultima può essere seguita
dalla Pianura Padana al Golfo di Taranto (a sud-est) passando lungo la costa
dell’Adriatico vicino Rimini, Ancona e Pescara, attraversando le regioni del
Molise e del Bradano. All’esterno di questa avanfossa l’avanpaese non piegato
occupa la regione della Puglia e del Gargano, a nord del Golfo di Taranto, dove
affiorano i carbonati di piattaforma prevalentemente giurassico-cretacei.
E’ difficile
descrivere la struttura degli Appennini senza assumere una posizione
(interpretativa) definitiva; molte differenti interpretazioni sono state fatte
da diversi autori , in vari periodi. Esse vanno da ipotesi di totale alloctonia
di tutti i corpi rocciosi (che rende molto difficile, se non impossibile, fare
delle coerenti ricostruzioni paleogeografiche) ad altre interpretazioni legate
ad ipotesi di sovrascorrimenti in varia misura. Queste diverse valutazioni sono
anche legate alla cattiva qualità degli affioramenti (spesso coperti da
vegetazione, specialmente nelle regioni dei flysch degli Appennini
settentrionali), o all’esistenza di tettonica recente (Plio-Quaternaria)
distensivache si sovrappone alle
deformazioni di fase alpina vere e proprie.Un’ulteriore complicazione è prodotta dallo sviluppo dei fenomeni di
risedimentazione di olistostromi e olistoliti (descritti e nominati per la
prima volta negli Appennini). Si dovrebbe notare anche, che come nel caso della
Calabria e Sicilia, ogni autore usa le proprie nomenclature paleogeografiche-strutturali,
spesso omettendo di tracciare correlazioni tra le loro nomenclature e quelle
degli altri.
fig. 6.54
fig. 6.55
Fig. 6.56
Fig. 6.57
E’ opportuno
distinguere da un lato gli Appennini settentrionali, tra Genova a nord-ovest,
Parma a nord ed Ancona, e dall’altro lato gli Appennini meridionali (Appennini
calcarei) tra Roma e il massiccio cristallino della Sila nella Calabria
centrale. Questi due domini sono separati da una linea tettonica, detta linea Anzio-Ancona,
che è stata variamente interpretata dai diversi autori sia come una faglia
strike-slip, sia come il fronte di una grande falda, sia come il
sovrascorrimento di ampiezza limitata (o una serie di sovrascorrimenti
successivi) sovrapposti su un corpo litologico che mostra un rapido cambiamento
di facies nel Mesozoico (passaggio dalla zona Marche-Umbria alla Zona Abruzzi-
Lazio).
Nell’Arco
Calabro-Siciliano, il basamento cristallino pre-alpino è noto soltanto in una
singola unità strutturale (Peloritani + Calabria cristallina e non affiora in
nessun altro posto in Sicilia, né nell’Italia peninsulare, né nella catena
Appenninica dove i depositi più vecchi sono triassici, permiani, ed,
eccezionalmente (Alpi Apuane) filliti metamorfiche probabilmente paleozoiche.
Molte delle serie mesozoiche
degli Appennini e della Sicilia, soprattutto quelle che iniziano con carbonati
di piattaforma triassica e liassica, giacciono o giacevano originariamente su
un basamento a crosta continentale (serie comparabili sono anche note nelle
Alpi meridionali dove esse giacciono su un basamento cristallino). Da questo
punto di vista sembra possibile distinguere due tipi di successioni
stratigrafiche negli Appennini.
Da una parte le
successioni su crosta oceanica (di tipo “eugeosinclinale”) con ofioliti,
attualmente interamente alloctone. Corrispondono probabilmente ai depositi
dell’antico dominio con crosta oceanica (bacino Piemonte-Liguria, comune per
Alpi, Corsica ed Appennini, fig. 6.28): queste sono le Liguridi degli Appennini
settentrionali con termini equivalenti negli Appennini meridionali, in Lucania
e Calabria settentrionale.
fig. 6.58a -Ricostruzione
paleogeografica nel Giurassico per i settori dell’Appennino umbro-marchigiano.
fig. 6.58b
Evidentemente le
ricostruzioni paleogeografiche che possono essere fatte di queste serie
differenti dipendono dalle ipotesi adottate riguardo le loro attuali relazioni
tettoniche (autoctonia o significativa trascorrenza).
L’età della
tettogenesi è più recente nelle zone tettoniche o unità che sono più esterne, e
accettando l’ipotesi di grandi sovrascorrimenti (charriages) che è oggi
ampiamente ammessa, nonostante le variazioni relative le diverse idee di autori
differenti, ciò corrisponde ad una progressione di falde dall’interno verso
l’esterno (fig. 6.7).
Certi autori
individuano l’esistenza di una certa compressione iniziale, nelle zone più
interne, all’inizio del Cretaceo superiore. Il trasporto delle unità liguridi
sugli Appennini più esterni cominciò nel corso dell’Oligocene, e il movimento
delle falde interne (Liguridi) ed esterne (Toscana, Appennino calcareo ecc.)
verso l’esterno della catena continuò attraverso il Miocene fino al Pliocene
inferiore. Nel Pliocene sup. – Quaternario una tettonica tardiva distensiva
intervenne (horst e graben) mentre gli ultimi olistostromi , le ultime masse
alloctone completarono il loro scivolamento gravitativo verso le avanfosse,
dove furono intercalate nei normali sedimenti Plio-Pleistocenici.
UN DIVERSO PUNTO DI VISTA SULLA
DORSALE APPENNINICA
06.7.1 - Storia paleogeografica
La storia evolutiva
degli Appennini ricalca l'evoluzione Alpina fino all'Eocene superiore. Gli
Appennini mostrano una simile paleogeografia mesozoica ed un processo di
inversione tettonico successivo (Fig. 6.58a, b).
Durante
l'Oligocene, ha avuto inizio una fase di subduzione con crosta oceanica
immergente verso W, iniziata ad Est della catena alpina, ad est del Blocco
Sardo-Corso, prima e durante la sua rotazione antioraria. Durante il Neogene, i
thrust appenninici si sono formati coinvolgendo i depositi mesozoici del
margine continentale passivo della Placca Adriatica ed il bacino oceanico della
Placca ionica, durante l'arretramento verso Est della zona di cerniera del piano di
subduzione.
Fig. 6.59
Fig. 6.60
La
Catena Appenninica è andata migrando verso NE negli Appennini settentrionali, verso Est negli
Appennini centrali e verso SE in Calabria ed in Sicilia. L'originaria
paleogeografia mesozoica e le suddivisioni strutturali degli Appennini sono: nel settore
settentrionale, da W verso Est, il Bacino Ligure (in larga parte un bacino oceanico,
come per es. la Falda del Bracco), la zona toscana con facies di piattaforma fino al
Liassico e successivamente caratterizzata da sedimentazione di tipo pelagico come
nell'adiacente Bacino Umbro-Marchigiano; verso SE, si ritrova la Piattaforma
Laziale-Abbruzzese; negli Appennini meridionali, procedendo in direzione WE, i
principali domini paleogeografici erano la Piattaforma Campano-Lucana, i Bacini
del Lagonegro-Molise (Bacini oceanici continuazione della Placca Ionica ?) e
la Piattaforma Apula; ad Est della
Piattaforma Apula, un altro bacino si sviluppò durante il Mesozoico (vedi i sedimenti bacinali del Gargano orientale), contemporaneamente all'apertura del Bacino
Adriatico meridionale. La propagazione della
deformazione ha determinato l'accavallamento in una pila di thrust derivanti
dalla deformazione degli originari domini paleogeografici. In questa pila si
trovano al tetto unità strutturali provenienti dalla deformazione di
paleodomini originariamente disposti
più ad ovest delle unità al letto, come ad esempio le Unità Liguridi sovrascorse sulla Falda Toscana, che a sua
volta è sovrascorsa sull'Unità di Cervarola,
(costituita da sedimenti di avanfossa) che a sua volta sovrasta
tettonicamente le Unità del Bacino Umbro-Marchigiano.
Verso Sud, la
Piattaforma Campano-Lucana sovrascorre sulle unità di mare profondo del bacino
di Lagonegro,
che a loro volta sovrascorrevano la Piattaforma Apula. Tutto questo si è verificato a causa
dell'orientamento dei piani di sovrascorrimento, parallelo all'originaria
distribuzione paleogeografica. In Sicilia una simile disposizione paleogeografica mesozoica è indicata dalla distribuzione
della Piattaforma Panormide, dal Bacino Imerese, dalla Piattaforma Trapanese, dal Bacino Sicano, e dalle
Piattaforme Saccense ed Iblea. Le
piattaforme carbonatiche Trapanese, Saccense ed Iblea furono, durante il Giurassico medio, soggette ad annegamento,
passando ad una sedimentazione di
tipo pelagico.
fig. 6.61
fig. 6.62
fig. 6.63
fig. 6.64
fig. 6.65 –
Evoluzione dell’Appennino meridionale secondo un modello a geosinclinale.
Come nelle Alpi,
l'inversione dovuta ai regimi di subduzione generato una nuova disposizione paleogeografica, per esempio, l'avanfossa
plio-pleistocenica appenninica, che decorre dal Monferrato alla Pianura Padana
(vedi fig. 6.3), il Mar Adriatico, la Fossa Bradanica, il Mar Ionio ed il bacino di Caltanissetta nella Sicilia meridionale.
Le strutture tettoniche più importanti negli
Appennini sono le Falde Toscane ed il fronte tettonico di Cervarola, il thrust
dei Monti Sibillini, la Linea Olevano-Antrodoco ( o Linea Ancona-Anzio), i thrust
del Gran Sasso e del Morrone, la
Falda di Gela in Sicilia. Molti graben pleistocenici dissecano gli Appennini
come per esempio quelli del Mugello, della Valle Tiberina, della Valdarno, di Chiana, di Radicofani, della
Val dell'Elsa, di Siena, di Radicondoli, della Bassa Val Cecina, di Volterra, del Paglia-Tever, del Fucino, del
Volturno, di Sant'Arcangelo, di Sibari, del Crati, di
Catanzaro, di Mesima e di Messina. Le Unità Alpine in Calabria e nella Sicilia nord-orientale sono delimitate dalla Linea di Sangineto nella Calabria
settentrionale e dalla Linea Longi-Taormina nella Sicilia nord-orientale (Peloritani). Tranne gli
affioramenti calabresi e siciliani, il basamento appenninico è visibile solo nella finestra tettonica delle Alpi Apuane,
ad Est di Pisa, nelle Montagnole
Senesi, nell'Isola d'Elba, nell'Argentario e in altri piccoli affioramenti
lungo la costa toscana.
Le
principali fasi dell'evoluzione appenninica sono la fase eo-alpina (Cretacico
?), la fase liguride
(Paleocene-Eocene), con vergenza Alpina e simile stile strutturale la fase sub-liguride
(Oligocene), la fase Toscana (Tortoniano).
Durante
questa fase avviene la messa in posto delle falde principali (Liguridi, Falda
Toscana, Falda di Cervarola) e l'area delle Alpi Apuane è stata soggetta a processi di
metamorfismo. Tuttavia, gli Appennini hanno continuato a deformarsi durante tutto il Pliocene ed il
Pleistocene, con un cuneo di accrezione frontale attivo ed una catena spessa e sollevata soggetta ad un regime
estensionale (vedi figg. precedenti). Numerosi
problemi riguardanti la paleogeografia appenninica sono tuttora aperti, come ad esempio a) l'estensione e la natura
(continentale o oceanica) del Bacino lonico-Lagonegrese, b) la forma e la distribuzione delle piattaforme
carbonatiche mesozoiche ed il loro significato
nel quadro della cinematica della deformazione, dove i domini paleogeografici si sono in parte trasformati in
unità strutturali. Un altro argomento di dibattito riguarda il grado di coinvolgimento del basamento nel cuneo di
accrezione appenninico, il basamento
della Placca Adriatica è stato o meno interamente subdotto, se c'è crosta continentale al di sotto degli
Appennini o se sia stata completamente
consumata nel corso della subduzione, o se gli affioramenti del basamento appenninico siano solo dei residui di una
precedente fase tettonica alpina.
Il
bacino di retro-arco neogenico (il Mar Tirreno) include numerosi bacini minori,
che si
sviluppano nei settori di piattaforma, scarpata continentale e nella piana
batiale, che raggiunge i 3.000 - 3.600 metri di profondità (vedi fig. 6.3). I bacini
peritirrenici neogenici ospitano successioni sedimentarie spesse fino a 2-4 km e si trovano al
largo delle coste della Sardegna (Bacino della Sardegna), della Calabria
(Bacino di Paola e Bacino di Gioia), e della Sicilia (Bacino di Cefalù) (sedimenti clastici miocenici,
evaporiti messiniane e sedimenti clastici plio-quaternari).
Sul
fondo del Bacino Tirrenico, sono state rinvenute rocce appartenenti al
basamento ercinico, basalti thooleiitici abissali datati 6 Ma. Laddove la crosta del Bacino
Tirrenico è di tipo oceanico, il suo spessore è poco meno di 8 km. Strutture
diapiriche sono presenti nelle zone centrali dei bacini tirrenici, grazie alla
presenza di uno spesso strato di salgemma.
Il Canale di Sicilia
è legato ai processi di estensione tra la Sicilia e la Tunisia (Africa settentrionale),
che perdurano sin dal Neogene. Questo processo è responsabile della formazione dei
bacini di Pantelleria, Malta e Linosa, dei graben orientati NW-SE, paralleli a
strutture simili, che affiorano in Tunisia e nei settori offshore della Piattaforma Pelagiana (vedi fig. 6.3).